Nessun cibo è disgustoso. E se anche lo fosse, è solo il nostro modo d’intenderlo, una visione culturale. E per dimostrarlo, a Malmo, in Svezia, sono stati messi in mostra ben 80 cibi e preparazioni culinarie che, per i più, sarebbero da considerare rivoltanti e che provengono da ogni parte del mondo, anche dall’Italia. Non solo tarantole fritte, aringhe fermentate, zuppe di nidi d’uccello, formaggi con le larve, pesci palla. C’è di tutto: dallo shirako, un sacchetto che contiene lo sperma del merluzzo, di cui sono ghiotti i giapponesi, al natto, ricetta tradizionale giapponese che consiste in fagioli fermentati. Non manca neanche il callu Sardu, stomaco di capretto chiuso alle estremità con una corda, stagionato con il suo contenuto, cioè l’ultima poppata di latte materno. Tagliato a fette viene poi consumato dai pastori sardi, che lo hanno inventato, fritto nello strutto.
Samuel West, lo psicologo responsabile del progetto, ha spiegato che è importante non tirarsi indietro a priori davanti a un cibo sconosciuto o estremo, non farsi intimorire da aspetto e odore poco famigliari. Con i cibi degli altri dobbiamo fare piazza pulita dei preconcetti, vincere le nostre resistenze.
Il motivo per cui nasce il museo è portare i visitatori a confrontarsi con il cibo di culture diverse, cercando di spiegare come alimenti considerati inaccettabili per alcuni vengano considerate leccornie da altri.
Nel museo non mancano “specialità” locali, come il surströmming, un’aringa svedese fermentata dal gusto pungente, e la liquirizia al sale, dall’intenso odore di ammoniaca, comune a molti Paesi del Nord.
Presente ovviamente il Casu Marzu, il “formaggio marcio” sardo, abitato da colonie della mosca casearia responsabili del processo di fermentazione che lo rende sapido e piccante.
Anche i cibi americani sono rappresentati, come le “ostriche di Rocky Mountain”, in realtà testicoli di toro.