Tradizione vuole che i veri protagonisti della festa dei morti, in Sicilia, siano i bambini. E tutto sommato, la tradizione di “Dolcetto o scherzetto” è qualcosa che da noi non ha preso, poi, molto piede. Halloween è qualcosa da vendere nei locali, un modo come un altro per commercializzare una serata. Ci sta, in un’epoca di globalizzazione. Ma la festa dei morti, in Sicilia, non ha niente a che vedere coi mostri, con gli zombie, con gli abbigliamenti eccessivi, con i ceroni bianchi e le occhiaie finte di vampiri e fantasmi. Andrea Camilleri, nel suo racconto “Il giorno dei morti”, narra un episodio di vita che molti di noi hanno vissuto durante l’infanzia, ovvero l’attesa dei cari defunti, visti come entità assulutamente positve: “Non fantasmi col linzòlo bianco e con lo scrùscio di catene, si badi bene, non quelli che fanno spavento, ma tali e quali si vedevano nelle fotografie esposte in salotto, consunti, il mezzo sorriso d’occasione stampato sulla faccia, il vestito buono stirato a regola d’arte, non facevano nessuna differenza coi vivi. Noi nicareddri, prima di andarci a coricare, mettevamo sotto il letto un cesto di vimini (la grandezza variava a seconda dei soldi che c’erano in famiglia) che nottetempo i cari morti avrebbero riempito di dolci e di regali che avremmo trovato il 2 mattina, al risveglio”. Poche righe per dipingere un momento che tutti noi abbiamo vissuto e che ricordiamo con un sorriso dolceamaro per il tempo trascorso, per una tradizione che non in tutte le famiglie, ormai, viene ancora celebrata.
Ma dove nasce questa tradizione del regalo portato dal defunto ai bambini?
Generazioni di siciliani sono cresciuti con la frutta Martorana e i Pupi di zucchero, portati assieme ai giocattoli la notte tra l’1 e il 2 novembre dalle anime dei parenti defunti. Ebbene, questo culto che ha origini molto antiche, accomuna periodi e culture diverse: dai Romani ai Celti, dalle popolazioni del Messico alla Cina. Ebbene, i cultui pagani, soprattutto quelli celtici, avevano un grande fascino tra le popolazioni. La chiesa Cattolica, sfruttò la grande popolarità di questo culto, che veniva celebrato appunto tra il 31 e l’1 novembre (commemorazione celtica delle anime dei defunti) e decise di cambiare la data della festa di Tutti i Santi che prima veniva celebrata il 13 maggio, con la data che oggi tutti noi conosciamo.
Il culto dei morti diventa ufficialmente celebrato dalla chiesa Cattolica nel 998. E l’usanza di regalare dolci, in particolare la frutta Martorana?
Il nome deriva dal convento della Martorana di Palermo, dove la ricetta fu realizzata per la prima volta dalle suore intorno al 1200.
Il motivo scatenante, secondo la leggenda, fu la visita che il vescovo volle fare al convento, dove si vociferava si trovasse uno dei giardini più belli di Palermo.
La visita avvenne proprio il primo novembre, ed essendo autunno gli alberi erano spogli. Fu a questo punto che le suore decisero di creare dei frutti con la pasta di mandorla come ornamento. Non solo frutta martorana: durante il periodo dei morti, vengono regalati biscotti tradizionali come Le ossa dei morti (piccoli biscottini molto duri a base di farina, zucchero, chiodi di garofano, acqua e cannella), i totò bianchi o neri (biscotti spolverizzati di cacao o zucchero o anche glassa al limone), i rametti o rame di Napoli (dolci dal morbido impasto al cacao ricoperti di cioccolato fondente). Le tradizioni culinarie, com’è noto, variano di città in città, in questo dedalo di tradizioni gastronomiche che è la Sicilia.
Il giorno successivo, 2 novembre, le famiglie si recano ai cimiteri per ringraziare e ricordare i propri “muorticieddi”. Anche questo momento è una festa. Può sembrare strano, ma i bambini sono contenti perché i loro cari sono venuti a trovarli e hanno portato loro dei regali. In parole povere, in Sicilia i defunti sono tutto tranne che presenze malevole e ricordiamo ancora i nostri genitori che, andando al cimitero all’imbrunire, durante le festività, ci dicevano che non bisognava avere paura di chi ci ha voluto bene.