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Ragusa, arrestato un bangladese che torturava i migranti

L'operazione della Squadra mobile che sta facendo luce su un sistema internazionale di soprusi e angherie corporali

by Redazione
20 Dicembre 2024
in Apertura
Sfruttamento della manodopera, denunciati due imprenditori a Ragusa e a Comiso
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Su delega della Procura della Repubblica di Catania — Direzione Distrettuale Antimafia, personale in servizio presso la Squadra Mobile di Ragusa ha dato esecuzione ad un’ordinanza applicativa della misura della custodia cautelare in carcere nei confronti Atikul Atikul, cittadino straniero di nazionalità bangladese (classe 1999), ritenuto allo stato responsabile, ferma restando la presunzione d’innocenza fino a sentenza definitiva di condanna, di essere partecipe di una associazione per delinquere — con basi in Libia, in Bangladesh e in Italia — finalizzata a commettere delitti di riduzione in schiavitù e di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, nonché di avere commesso in Libia i delitti di riduzione in schiavitù, di tortura e di sequestro di persona a scopo di estorsione ai danni di un connazionale. L’articolata attività di indagine, coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia e condotta dalla Sezione Criminalità Straniera della Squadra Mobile di Ragusa, prendeva avvio dal fermo di indiziato di delitto eseguito il 15 luglio 2024 da parte della polizia giudiziaria nei confronti dell’indagato per il delitto di associazione per delinquere finalizzata al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. In particolare, una delle vittime delle condotte delittuose sopra indicate, dopo un periodo di prigionia durato diversi mesi in Libia, dove aveva subito torture disumane e degradanti, a seguito del pagamento da parte dei familiari residenti in Bangladesh di significativi importi di denaro, sarebbe riuscito ad arrivare in Italia, venendo così collocato presso l’hotspot di Pozzallo. Qui avrebbe incontrato l’indagato, a sua volta ivi giunto a seguito di un diverso sbarco, il quale — sulla base delle risultanze investigative — sarebbe stato uno dei suoi peggiori torturatori e carcerieri in Libia. La persona offesa, terrorizzata da detto incontro, subendo nuove richieste di denaro da parte del connazionale, avrebbe trovato il coraggio di rivolgersi ai responsabili dell’hotspot e, quindi, di sporgere denuncia per quanto subito durante il periodo di prigionia in Libia. Le successive risultanze investigative, corroborate dalle dichiarazioni della vittima (rese agli investigatori e confermate poi all’Autorità giudiziaria in sede di incidente probatorio) e dagli elementi probatori acquisiti dall’analisi del cellulare sequestrato all’indagato al momento del fermo, consentirebbero di appurare l’esistenza di un pericoloso network
criminale di stanza in Libia, con basi operative anche in Bangladesh e in Italia, dedito alla gestione dei flussi migratori dal Bangladesh alla Libia, sino poi in Italia, e di delineare il ruolo assunto in seno allo stesso dall’indagato, il quale — uomo di fiducia dei vertici del sodalizio — avrebbe svolto i compiti di aguzzino, torturatore e sequestratore. Avrebbe, inoltre, intrattenuto rapporti con i familiari delle vittime al fine di costringerli a versare in favore del sodalizio ingenti somme di denaro. In particolare, avrebbe — insieme con altri sodali non ancora identificati — mostrato, mediante videochiamate, scene di torture di inumana violenza poste in essere ai danni dei rispettivi familiari ed avrebbe quindi chiesto loro, quale prezzo per ottenere la liberazione dei loro cari, il pagamento di ingenti somme di denaro. Nel corso dell’articolata attività di indagine si acquisivano, mediante il coinvolgimento dei familiari della persona offesa residenti in Bangladesh, file audio e video di alcune delle torture che sarebbero state inflitte alla stessa anche dall’indagato e fotografie comprovanti i pagamenti che sarebbero stati da loro effettuati quale prezzo per ottenerne la liberazione e la prosecuzione quindi del suo viaggio verso l’Italia. Al momento della denuncia, sul corpo della persona offesa erano ancora ben visibili numerose cicatrici, segni indelebili delle torture patite. Atteso che le condotte di riduzione in schiavitù, di sequestro di persona a scopo di estorsione e di tortura sarebbero state commesse all’estero da parte di cittadino straniero, il ministro della Giustizia chiedeva che si procedesse nello Stato a carico dell’indagato. Solo a seguito di tale richiesta, all’esito dell’attività di indagine svolta, la Direzione Distrettuale Antimafia della Procura di Catania ha avanzato la richiesta — accolta dal Gip — di applicazione della misura della custodia cautelare in carcere per i predetti delitti.

Redazione

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