È un giallo che attende risposte quello della morte di Luigia “Gingina” Bergamasco (nella foto), l’81enne stimata professoressa modicana venuta a mancare lo scorso 14 luglio dopo un ricovero nel reparto di oncologia dell’ospedale “Giovanni Paolo II” di Ragusa. Sulla vicenda pende il forte sospetto di un drammatico errore nella somministrazione di farmaci, che potrebbe aver causato un avvelenamento da sovradosaggio.
La salma della donna è tuttora bloccata, su richiesta dell’avvocato Ignazio Galfo, che ha sollecitato l’esecuzione dell’autopsia. Il sostituto procuratore Santo Fornasier, che ha in carico il fascicolo, ha accolto la richiesta e ha disposto l’accertamento tecnico irripetibile, affidandolo ai dottori Francesco Coco e Paolo Tiralongo. L’incarico sarà conferito ufficialmente ai medici legali oggi alle 15,30, dopodiché potrà iniziare l’esame autoptico presso l’obitorio dell’ospedale “Paternò Arezzo” di Ragusa. Ci sarebbe un solo indagato.
La professoressa Bergamasco, figlia dell’indimenticato musicista maestro Gianni, era da anni affetta da un tumore e seguiva una terapia farmacologica domiciliare prescritta dall’oncologo, ritirando i farmaci specifici presso la farmacia dell’ospedale di Modica. Circa dieci giorni prima del decesso, era stata ricoverata in gravi condizioni nel reparto di oncologia di Ragusa. Le prime indagini sembrano escludere responsabilità dirette del reparto, che, anzi, avrebbe tentato di contrastare gli effetti di un sospetto sovradosaggio con farmaci antagonisti. Il vero nodo della questione, e il focus delle indagini, riguarda la presunta non conformità dei medicinali consegnati alla donna. Secondo voci che dovranno essere accertate dalle autorità, pare che il piano terapeutico indicasse l’assunzione di otto pillole da 120 mg. Tuttavia, la donna avrebbe ricevuto e assunto pillole di un dosaggio nettamente superiore, pari a 500 mg. Questa discordanza avrebbe comportato l’ingestione di 4000 mg in pochi giorni invece dei 1200 mg previsti, una dose che si presume fatale e che avrebbe causato alla professoressa sofferenze atroci prima del decesso.