Irriverente, satirico, spregiudicato: è questo il ritratto di un uomo di potere che, nonostante tutto, rimane sempre avvolto nel mistero. E’ uscito nelle sale cinematografiche italiane l’acclamato Vice – l’uomo nell’ombra, con un camaleontico e irriconoscibile Christian Bale nei panni di Dick Cheney e diretto da Adam McKay. Dick Cheney, vice presidente degli Stati Uniti ai tempi della disastrosa amministrazione di George W. Bush è l’uomo nell’ombra e rimarrà, per sempre, l’uomo nell’ombra. Da sconosciuto operaio elettrico in Wyoming, Chenery riesce a scalare i gradini del potere come pochi: all’apparenza è un uomo mite e a tratti sembra anche buono e affettuoso. In realtà, è spietato e mai si lascerà trascinare dagli eventi della vita, sostenuto da un perfetta Lady Macbeth dei tempi moderni, la moglie Lynne, interpretata da Amy Adams. A metà fra il Frank Underwood di House of Cards e il colonnello Natan Gessep di Codice D’Onore, Dick Chaney è un uomo che rimane sempre estremamente calmo, dedito alla sua famiglia, senza troppi eccessi legati alla sua posizione di potere. Si rende conto, però, che nel momento in cui avrebbe potuto aspirare alla carica di presidente degli Usa, il coming out della figlia che si dichiara omosessuale glielo avrebbe impedito per sempre, in quanto da sempre sostenitore repubblicano. Dopo un periodo (durante l’amministrazione democratica di Clinton) in cui si ritira a vita privata e diventa l’amministratore delegato di Halliburton, una società che si occupa di sfruttare giacimenti petroliferi, sembrerebbe che la sua carriera politica sia finita, ma viene invitato ad essere il vice presidente di George W. Bush. Ma Cheney non si accontenta di un posto irrilevante, dal punto di vista politico, ed è qui che diventa il vero uomo nell’ombra, fino ad avere la sua influenza più importante nella dichiarazione di guerra all’Iraq e, di conseguenza, una grande responsabilità in quella campagna militare che costò agli Usa il prestigio internazionale.
Vice non è solo il racconto di un uomo di potere che subisce la fascinazione del potere: è anche il racconto di un pezzo di storia americana e non è facile da seguire per chi non conosce in modo approfondito quelle vicende. Questo, è il grande limite del film.
A rendere però il film qualcosa di unico è lo stile dal ritmo forsennato e dal taglio eccentrico, con la voce over di un narratore che incarna l’uomo comune americano e con diverse trovate. Ad esempio a un certo punto sembra che la carriera di Cheney sia finita e iniziano i falsi titoli di coda. Invece, tutto questo viene interrotto dalla telefonata di George W. Bush che gli chiede di essere il suo vice.
Oppure quando il regista immagina uno scambio di battute tra Dick e la moglie Lynne in pentametri giambici e inglese arcaico, dal sapore shakespeariano, a cui subito però segue la versione più realistica di quella stessa situazione, dove Cheney si limita a borbottare un paio di battute pensieroso e la moglie annuisce. Ma il film è anche un’attenta riflessione sulla società americana (e non solo), vittima della propaganda e impoverita culturalmente e moralmente.
I mutamenti politici innescati da Cheney, tra cui spicca la nascita di Fox News con la morte della par condicio, sono visti come il germe da cui prende il via la deriva destrorsa dell’America contemporanea. Del resto durante la Presidenza Bush è stata fatta una guerra sulla base di informazioni falsate riguardo armi di distruzioni di massa in Iraq, armi in realtà mai provate e quindi, di conseguenza, sbugiardando il discorso che il Segretario di Stato, Colin Powell, aveva fatto all’Onu, seppur riluttante. Resta un ritratto molto cinico dell’America di oggi e sicuramente offre una lettura disincantata della politica e dei suoi meccanismi.