Al via davanti al giudice del Tribunale monocratico di Ragusa, Gaetano Di Martino, il processo per abbandono di minore del piccolo Vittorio Fortunato. E’ stata una udienza con tanti testi (poliziotti, persone accorse sui luoghi, collega di lavoro). Tutti hanno ripercorso le dichiarazioni rese in fase di indagine. Sotto processo c’è la madre naturale del bimbo trovato in strada a Ragusa. Il padre naturale, deceduto per cause naturali nella notte tra il 2 e 3 giugno scorso, il 4 novembre del 2020 ne simulò abbandono e ritrovamento davanti al suo esercizio commerciale. Il piccolo da quando aveva una ventina di giorni di età è stato affidato a una famiglia di fuori provincia ed è al centro di una contesa legale. Si torna in aula l’8 novembre per sentire altri poliziotti ed i sanitari dell’ospedale “Giovanni Paolo II”.
La Suprema corte ha riscontrato l’irregolarità procedurale commessa dal Tribunale dei minorenni di Catania che riconoscendo la preadottabilità del neonato, avrebbe di fatto privato del diritto di ravvedimento i due genitori naturali, in particolare la madre, che rivuole suo figlio. Adeguandosi alla sentenza della Cassazione, il Tribunale dei minorenni ha stabilito che il bambino, che oggi ha tre anni e mezzo, debba ritornare dalla madre naturale, al termine di un percorso graduale di passaggio tra la famiglia adottiva e quella naturale.
Per tornare all’udienza, va detto che è stata dedicata alle testimonianze dei primi testi del pubblico ministero Marco Rota. Presente anche la parte civile, rappresentata dall’avvocato Emilio Cintolo. Secondo quanto emerso la donna al momento del parto chiamò l’uomo, il commerciante con il quale aveva già una figlia, per chiedergli aiuto. Lui inscenò l’abbandono e il ritrovamento del neonato invece di portarlo in ospedale. Il commerciante in primo grado è stato condannato con rito abbreviato a due anni di reclusione per lo stesso reato, abbandono di minore, per il quale la donna è sotto processo con rito ordinario. Dalle intercettazioni, in particolare da due colloqui tra il padre e la madre, sarebbero emersi i primi elementi importanti; il 13 novembre, 9 giorni dopo la simulazione del ritrovamento l’imputata chiamò preoccupata il commerciante e lui la rassicurò dicendole – stando alla testimonianza resa in aula – di non preoccuparsi perché non c’erano le impronte di lei da nessuna parte, ma quelle delle altre due donne che lo avevano aiutato a ‘soccorrere’ il bimbo e quindi non sarebbero risaliti a lei.