“Carissimi e amati nel Signore, cari parrocchiani di San Giorgio e non, visto le illazioni, le dicerie e le malignità che circolano in alcuni social, che mi vengono riportate, credo che sia arrivato il momento di esprimere, doverosamente soprattutto a voi, in modo chiaro il mio pensiero e i miei sentimenti e la mia posizione”. Inizia così l’intervento pubblico del parroco del duomo di Ragusa, il sacerdote Pietro Floridia, al centro di un caso mediatico, nei giorni scorsi, legato al suo trasferimento.
“Innanzitutto – continua padre Floridia – esprimo la mia commozione per le tante esternazioni di affetto e di stima che ho ricevuto da tantissime persone da ogni parte della diocesi e di ciò a queste gliene sono grato. Se per tantissimi la notizia del mio trasferimento in un’altra parrocchia ha causato dolore e sbigottimento, non meno lo è stato per me. Sono 37 anni che vivo e servo la comunità di San Giorgio – preferisco chiamarla comunità e non parrocchia in quanto ingloba anche tantissime persone non residenti nel territorio parrocchiale – e non mi è facile distaccarmi. Ho conosciuto i vostri bisnonni, nonni, padri, e ho visto crescere sotto i miei occhi i vostri figli, nipoti e anche bisnipoti, e ho condiviso e partecipato affettivamente alle vostre gioie e ai vostri dolori. Era il 1987 quando la Chiesa mi volle pastore nella vostra comunità e io, proveniente da un’altra città con tradizioni completamente diverse, nello spirito dell’incarnazione, mi sono calato nelle vostre realtà e tradizioni ed ho sposato in tutto la vita del mondo ibleo. Sono stato parte della vostra grande famiglia e, spero che sicuramente e me ne diate atto, ho lavorato perché questa porzione di Chiesa diventasse una famiglia”.
“Siete stati tutti, soprattutto i giovani – prosegue padre Floridia – il mio vanto. Con voi, senza riguardo per nessuno, con il rispetto dovuto e con la schiettezza che mi caratterizza, e nessuno può negare questo, ho lottato come un leone, come Sansone, contro tanti lupi famelici per difendere la vostra identità, le vostre tradizioni, i vostri beni e ringrazio Dio che palesemente ci ha aiutati. Per correttezza, è anche vero che non tutti hanno condiviso i miei atteggiamenti, soprattutto quelli che accampavano diritti non dovuti o interessi che stridevano con la giustizia o ciò che concerne il sacro. Ma sarebbe grave e mi preoccuperei se tutti parlassero bene di me, lo dice Gesù (cfr Lc. 6, 26). Diventando un peso per questi miei detrattori, sono diventato per qualcuno oggetto di antipatie, di calunnie e di giudizi temerari inventati ad arte. Ma questo non mi ha per niente intimorito ed ho continuato con più tenacia a lavorare con coscienza cristiana e di prete. Non sono un santo. Posso dire con S. Paolo: che “anche se non sono consapevole di colpa alcuna non per questo sono giustificato. Il mio giudice è il Signore!” (1Cor. 4, 4). Incarnandomi nella vostra vita parrocchiale e Iblea, la mia preoccupazione principale è stata quella di dare gloria a Dio e, come scrive S. Paolo, “di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo, e questi crocifisso” (1Cor 2,2). Nell’immaginetta-ricordo della mia ordinazione presbiterale, facendo mia una preghiera di Grandmaison, facevo scrivere: “ O Gesù, fa’ di me un rapitore di anime, colui che le getta in te.… Tutta la mia ambizione consiste nell’essere strumento della tua gloria… fa di me il dito che indica l’amore, la voce che lo canta, che rivela gli insensibili un po’ dei suoi splendori e delle sue amabilità. In tutto io non voglio che te, Gesù: te conosciuto, te glorificato, te amato da tutti”, e questa è e sarà sempre la mia preghiera e il mio obiettivo ovunque il Signore mi manderà”.
“Ora il Signore mi chiede attraverso la decisione del vescovo di smontare la mia tenda – ancora padre Floridia – e andare a lavorare altrove, in un’altra parte della Sua Vigna e serenamente dico il mio “Fiat”, il mio “eccomi”. Non nego, e sarei un ipocrita se lo negassi, che per tanti motivi provo una certa sofferenza interiore, ma ripeto: sono sereno. Difatti, mi è stato insegnato, e lo credo fermamente, che “l’obbedienza, ed essa sola, è quella che ci manifesta con certezza la divina volontà. È vero che il superiore può errare, ma chi obbedisce non sbaglia. L’unica eccezione si verifica quando il superiore comanda qualcosa che chiaramente, anche in cose minime, va contro la legge divina. In questo caso egli non è più interprete della volontà di Dio . ..[Questa è] l’unica via nella quale possiamo rendere a Dio la massima gloria. Se esistesse una via diversa e più adatta, il Cristo l’avrebbe certamente manifestata con la parola e con l’esempio… La prova della nostra perfetta carità sia l’obbedienza, da esercitare soprattutto quando ci chiede di sacrificare la nostra volontà.” (S. Massimiliano kolbe). Dico a chi è più reticente in questa querelle che anche se la motivazione addotta (“fare nuove esperienze”) può sembrare strumentale e per niente convincente, su ogni cosa c’è Dio che “suscita il volere e l’operare secondo i suoi benevoli disegni” (Fil 2, 13), conduce la storia degli uomini, sa cambiare l’acqua in vino e il deserto in un giardino. A noi, ripeto, tocca obbedire. Chi avrebbe pensato che Giuseppe, figlio di Giacobbe, venduto dai fratelli, sarebbe diventato viceré d’Egitto e salvatore dei suoi stessi fratelli traditori?”.
“Il Signore si fa beffe dei malvagi (cfr Sl 2, 4) e “sconvolge le vie degli empi” (Sl 145, 9). Non è che mi ritengo il Giuseppe della Genesi e non aspiro a niente – conclude padre Pietro Floridia – Spero solo che Dio mi usi misericordia. Ho quasi 70 anni e a quanti giustamente e logicamente, secondo il pensiero umano, esprimono l’irragionevolezza di un tale trasferimento, ricordo che Dio non la pensa come gli uomini; la logica di Dio non è la logica degli uomini. Difatti, solo per citare un esempio, si dice che Abramo fosse ottantenne quando, per volere di Dio, dovette lasciare la sua terra e andare altrove. Nella Sacra Scrittura e nella storia della Chiesa non mancano episodi di persone, molto più anziane di me, usate grandemente dal Signore. Credo che non faccio male se spero che il Signore faccia altrettanto anche per me? Come credo e sono sicuro che farà anche con il parroco eletto, don Peppino Antoci. Conosco e apprezzo le sue capacità professionali e sacerdotali e sicuramente farà con voi quanto io non ho potuto fare, per tanti motivi. Se mi fosse stato chiesto quale dei sacerdoti avrei visto al mio posto, come qualcuno di voi può testimoniare, avrei indicato, fra i pochi, proprio don Antoci. Vi chiedo, quindi – e sono sicuro che lo farete – di pregare per lui e di accoglierlo con gioia, lavorando e collaborando con lui, come avete fatto con me. Diversamente dimostrereste che io non ho seminato. Pregate anche per il nostro vescovo: la sua missione è molto delicata dovendo guidare come buon pastore e padre la Chiesa di Dio che è in Ragusa e ciò non è per niente facile. In ultimo, vi chiedo a tutti la carità della preghiera anche per me perché, nonostante i comprensibili timori logistici e di adattamento per il mio nuovo incarico, trovi e mi sia concessa nuova forza dallo Spirito del Signore Risorto e dall’aiuto materno della Beata Vergine Maria attraverso la Quale ogni giorno mi offro e consacro all’unico mio e vostro Signore e Salvatore, Gesù Cristo, a cui va la lode, la gloria e l’onore nei secoli dei secoli”.