Franca ha 17 anni, vive ad Alcamo, ed è fidanzata ufficialmente con Filippo Melodia, un ragazzotto del luogo. Un giorno, però, questi viene arrestato, per mafia. Lei decide di lasciarlo, non ha nessunissima intenzione di condividere la sua vita con quell’uomo. Un’impudenza che pagherà a caro prezzo.
Minacce e ritorsioni si faranno sempre più insistenti, lei, come d’altra parte la sua famiglia, iniziano a vivere nel terrore. Il vigneto di famiglia viene distrutto, il casolare annesso bruciato e Bernardo, il papà, viene addirittura minacciato con una pistola, ma tutto ciò non le farà cambiare idea.
“Puttana, non ha capito con chi ha a che fare” e così il 26 dicembre il Melodia, con 12 compari, decide di rapirla, segregarla in un casolare per 8 giorni, durante i quali la violenta. “Adesso non può più scappare, il matrimonio è un obbligo, morale, sociale, culturale”, sicuramente avrà pensato il Melodia. Ne aveva compromesso la sua moralità. Ma Franca, che allora aveva solo 17 anni, decise di andare contro tutti e tutto, decise di fregarsene della morale comune e della cultura del tempo e perciò preferì esser additata come “svergogna”, ma rifiutò di sposare il suo aguzzino, era il 1965.
Franca Viola fu la prima donna in Italia a rifiutare il matrimonio riparatore, una scelta più che difficile, eroica, specie in quella Sicilia, in quell’Italia, dove la mafia non esisteva ed invece esisteva il delitto d’onore, cancellato solamente nel 1981.
Che senso ha ricordare un fatto accaduto tanto tempo fa? Me lo sono chiesto, ma la risposta era racchiusa nella stessa domanda. La lezione impartita, a tutti noi, da quella ragazzina è tuttora attuale. Chissà quanti se lo ricordano Franca Viola, chissà quanti, magari tra i più giovani, non ne sanno assolutamente nulla. Franca da sempre ha reputato il suo gesto come un dovere nei confronti di se stessa e non come un atto di coraggio.
Ancora oggi sono troppe le donne che si aggrappano ad un amore che amore non è, sono troppe le donne che accondiscendono ad una certa cultura becera, violenta e meschina. Chissà se quel gesto possa esser da monito, possa esser da sprone per tutte quelle donne che, oggi, si sentono intrappolate in un destino bestiale ed avverso.
La strada che porta ad una reale e piena emancipazione della donna è tutta in salita e in questo cammino la donna non deve esser lasciata sola dalla società e dalle istituzione, perché certe abitudini, certi modi di pensare, sono duri a morire, in fondo se non siamo colpevoli siamo, parafrasando De André, pur sempre coinvolti.