In Italia il fenomeno del volontariato nasce in seguito alle grandi calamità naturali verificatesi nel nostro paese a partire dall’alluvione di Firenze del 1966, quando migliaia di persone, soprattutto giovani, gli “angeli del fango”, affluirono spontaneamente da tutto il territorio per portare il proprio soccorso a Firenze, mossi da un forte senso di solidarietà verso le persone colpite e riconoscendo l’importanza di salvaguardare il patrimonio artistico e culturale della città. Da allora ad oggi, il fenomeno è andato crescendo in modo esponenziale strutturandosi in numerose organizzazioni presenti in Italia, dove i volontari sono quasi 5 milioni – il 10% della popolazione – e tanti sono convinti che sia terapeutico.
E’ ammirevole e al tempo stesso sorprendente che le persone rinuncino al proprio tempo libero per dedicarlo agli altri, senza nessun evidente guadagno personale.
Molti psicologi, tra cui Mark Snyder dell’Università del Minnesota, hanno iniziato a chiedersi cosa è che spinge così tante persone a donare tempo ed energia e stanno studiando perché le persone fanno volontariato e come fanno le organizzazioni a tenere, all’interno del proprio organico, i volontari a lungo termine.
A metà degli anni ’80, lui e la psicologa Allen Omoto, hanno cominciato a studiare i volontari che prestano assistenza a pazienti affetti da HIV/AIDS, e nel corso degli anni, hanno identificato cinque motivazioni principali che spingono le persone verso questa scelta:
Valori: il volontariato soddisfa valori personali o preoccupazioni umanitarie. Per alcune persone questo può avere una componente religiosa.
Preoccupazione per la comunità: come ad esempio un quartiere o gruppo etnico a cui ci si sente legati.
Valorizzazione e stima: il volontariato fa sentire meglio con se stessi.
Intesa: il volontariato permette una migliore comprensione delle altre persone, culture o luoghi.
Sviluppo personale: il volontariato permette di incontrare nuove persone e fare nuove amicizie
Andando ancora oltre si è indagato sulle motivazioni reali dei volontari e gli studiosi si sono chiesti se le persone fanno cose altruiste – tra cui il volontariato – perché sono veramente altruiste e disinteressate, o perché ricevono qualche beneficio dagli atti altruistici.
La maggior parte di essi sostiene che l’altruismo sia proprio delle persone che provano empatia per gli altri e questo fenomeno accade perché il pensiero del dolore di un’altra persona ci rende tristi, ed evitarlo è un modo per farci star meglio e farci sentire utili. Oppure tendiamo ad aiutare un’altra persona perché vorremmo essere aiutati nello stesso modo.
Questi studi hanno portato la maggior parte degli psicologi che studiano il volontariato a sostenere che, l’atto del volontariato pur avendo una componente altruistica, che riflette una vera preoccupazione per il benessere degli altri ha anche una componente egoistica e che è opportuno considerare la presenza di entrambi i fattori, anziché vederli in contrasto tra loro.
FONTE: www.opsonline.it