Analisi sulla prostituzione nell’ottocento a Parigi
La notte sarà lunga per le prostitute.
Chiuse nelle case, vestite da bambina o coperte di mussolina trasparente. In piedi dietro le persiane illuminate dalla luce del grande numero rosso o sprofondate nelle poltrone del salotto attendono pazienti.
Con i loro stivaletti alti, i corpetti stretti alla vita, la bocca rossa, gli occhi truccati, scendono in strada e conquistano, con il loro tono al tempo stesso lascivo e lieto, il cuore della città. Cercano le pozze di luce, i cafè animati, i ristoranti aperti.
Rialzano un po’ la gonna e lanciano occhiate intorno consapevoli dei fantasmi che scatenano.
Talvolta si rivolgono agli uomini e con voce carezzevole parlano di denaro e d’amore, come “uomini d’affare”.
Sono donne in vendita e lo dicono, carne offerta al migliore acquirente. Non è l’istinto, non è il vizio a spingere la prostituta in strada o nel bordello ad aspettare il cliente: è il denaro.
Schiacciate dalla loro condizione, subiscono la loro sorte di schiave dei tempi moderni e restano svilite al rango di oggetti, perdono la loro identità per un’identità utile al ruolo di merce per attirare il desiderio di possesso del compratore. E’definibile come uno scambio: una prestazione di piacere in cambio di denaro.
La prostituta vende il piacere che tuttavia non prova.
<< L’amore per le prostitute è l’apoteosi dell’immedesimazione nella merce>>. (1)
<<La merce è diventata un astratto. Una volta sfuggita nelle mani del suo produttore, liberatasi ormai della sua particolare realtà, ha cessato di essere prodotto e dominio dell’uomo. Ha acquistato oggettività spettrale e produce vita propria. A prima vista, una merce sembra una cosa triviale, ovvia. Dalla sua analisi risulta che è una cosa imbrogliatissima, piena si sottigliezza metafisica e di capricci teologici.
Liberatasi dalla volontà dell’uomo, la merce si ordina in una misteriosa gerarchia, sviluppa o rifiuta il potere di scambio, recita secondo leggi proprie, come un attore su un palcoscenico chimerico.
Gli oggetti si sono resi autonomi, assumono comportamenti umani (…). La merce è diventata un idolo che benché prodotto dal lavoro umano domina sugli uomini stessi>>. (2)
<< A Parigi e in altre città esistevano degli uffici di collocamento specializzati in case chiuse dove si poteva effettuare il reclutamento delle ragazze con inserzioni o con l’adescamento nei locali pubblici, nelle stazioni, nelle piazze e nelle sale.
Mezzane chiamate dalla polizia “procuratrici” solcavano le strade, entravano dappertutto alla ricerca di giovani reclute.
Il ballo pubblico divenne, come il marciapiede, una tappa obbligata della prostituzione. Nella Parigi della Belle èpoque sono state censite più di 200 sale da ballo. I balli erano diventati un’esposizione di merce vivente, un pubblico mercato di prostituzione>>. (3)
La prostituzione apre un mercato dei tipi femminili.
Il mercato dei “tipi femminili” è il mercato dei “tipi di oggetti” da mercificare e quindi dell’immaginazione che questi oggetti hanno o devono avere, La merce suscita il movimento del denaro proprio perché è immagine e fantasmagoria e noi viviamo in questo mondo fatto di immagine.
Nulla è più significativo a questo proposito di un racconto sulle “pensioni” che Ferdinand von Gall presenta nel suo libro Paris und seine Salons. Vi si apprende che, in molte di queste pensioni, era usuale che a cena, alla quale potevano partecipare previo annuncio anche gli estranei, comparissero delle cocottes che si obbligavano a darsi un’aria di ragazze di buona famiglia e nemmeno al dunque erano disposte a far cadere subito la maschera, anzi si circondavano di un’interminabile emballage di decoro e familiarità, che era il sottinteso di un fitto gioco di intrighi destinato ad alzare il loro prezzo.
Quindi la trasformazione dell’immagine è indispensabile per “alzare il prezzo”.
Senza l’elemento immaginario resterebbe incomprensibile il consumo.
E’ l’immagine la formula e infine la seduzione profonda dell’ultimo modello a costituire il simulacro della novità e a sollecitare l’acquisto. La merce è apparire puro, essa non ha più nessuna consistenza fisica ma è pura immagine.
Fu questa la motivazione per cui si crearono diverse categorie di “case chiuse” adattandosi al gusto e alle richieste immaginifiche della clientela.
<<ad ogni categoria di case corrispondeva un esercito di prostitute. La varietà delle case era infinita: si andava dal bordello sontuoso e fiabesco dove le prostitute vestite come principesse aspettavano il cliente in stanze protette da tendaggi di velluto nero, al buco più miserabile della rue Mongolo o del porto di Marsiglia dove una ragazza ubriaca d’assenzio apriva meccanicamente le gambe su un materasso nudo.
Al vertice della gerarchia delle “case chiuse” si trovavano le grandi case di tolleranza, siti dove circolava la ricchezza dei quartieri della Madeaine, dell’Opera e della Borsa. Vi regnava un’atmosfera vellutata. I folti tappeti, i domestici silenziosi, la circolazione perfettamente ritmata di prostitute e clienti contribuiva a fare di quelle “case” dei sublimi palazzi del sesso, dove la brama di piacere veniva eccitata già dalla vista.
L’ingresso era misterioso, una doppia porta imbottita isolava da tutti i rumori esterni e dava al cliente l’impressione che varcandola, ci si sarebbe trovati esclusi dal mondo a cominciare il viaggio nel paese delle meraviglie. (…) la sotto maìtresse gli precisava il prezzo, poi lo accompagnava nel salone dove come in un quadro vivente, le ragazze si esibivano nude o vestite solo di accessori come giarrettiere, calze e stivali e stavano immobili, senza parlare, guardavano negli occhi, cercando di superarsi reciprocamente inarcando il busto o volgendo il corpo con gesti indiscreti per essere scelte, le simulazioni oscene, l’imitazione dell’incontro, la mimica delle reni in cui ognuna eccelleva, completavano l’ipnosi prodotta dall’ossessione Venerea.
L’uomo, dopo aver fatto la scelta, varcava altri saloni (…), magari con ambientazioni esotiche, o con grotte artificiali. Il cliente, abituato alle comodità accanto alla moglie borghese, doveva qui sentirsi spaesato, provare il brivido del lusso. Nelle stanze l’immaginazione aveva libero corso>> (4)
Questa merce come pura “immagine” si concretizza sulla carta con la pubblicazione di veri e propri cataloghi, utili a pubblicizzare gli oggetti , quindi anche le prostitute come oggetti-merce che si rispettino ne avevano uno.
<< Numerose litografie galanti che apparvero negli anni ’30 dell’ottocento potevano trasformarsi istantaneamente in oscene per gli amanti delle immagini direttamente erotiche (…) Eduard Fuchs specifica che il primo catalogo di prostitute eroticamente illustrato risale al 1835/40 e consisteva in venti litografie erotiche a colori con sotto il corrispettivo indirizzo della prostituta.>> (5)
L’ambiente oggettivamente maschile fa assumere a quel tipo di donna-prostituta l’incarnazione della “merce”.
Inclinazione che arriva fino ai giorni nostri con la presenza costante di donne che accompagnano o incarnano oggetti-merce.
Infatti uno degli aspetti da considerare per lo studio sulla prostituzione è la città-metropoli, il suo carattere labirintico, il flàneur, la massa.
La prostituzione inaugura la possibilità di una comunione mistica con la massa, e questa con la produzione di massa.
1) Benjamin W.: Parigi Capitale del XIX secolo,
2) Ivi.
3) Alder, L.: La vita quotidiana nelle case chiuse in Francia 1830-1930
4) Ivi.
5) Benjamin W. Opera cit