C’è in Strindberg un affascinante artista multisfaccettato.
Egli usò del suo corpo e della sua psiche come dei sorci lasciati morire di soffocamento durante gli esperimenti… aveva deciso di condurre a termine un programma: dietro i fenomeni vissuti sorprendere la realtà vivente, incontaminata, aurale. Allo scopo coagulò il volatile e sciolse il fisso: fermò le impressioni più fuggitive, le iridescenze, i barbagli, i qui pro quo, dilatò ogni sospetto, mutò i fruscii in rombi, i suoni in sussurri. Dissolse ciò che si dà per saldo, sicuro, concreto.
Jung lo chiamerà unus mundus, il mondo unificato dove cessa di operare il meccanismo di causa ed effetto e si naviga fra i campi d’energia che si manifestano nei fatti esterni quanto nell’interiorità.
«… fu il drammaturgo degli strazi più cupi. … Si limitava a raccogliere, digrignando i denti, i gemiti e le grida che salivano dal carcere delle famiglie. … Venne però un momento nella vita in cui i suoi occhi, arrossati dal pianto di dolore e di rabbia, presero una impietrita fissità… per appuntarsi verso fuggevoli, larvali apparizioni o verso certi subitanei, spettrali squarci della realtà» (1).
Strindberg pittore, continuò poeticamente il suo stesso lavoro d’alchimista, i sui paesaggi ricavati da scontri tra il materico e il fluido erano tempeste con schizzi d’acqua contro rocce aguzze, l’acqua ribolliva come nelle ampolle dei suoi esperimenti ma niente era effettivamente chiaro in questi paesaggi in cui si avvertiva l’attrito della materia che si increspava, spaccava, fino a sciogliersi in macchia, il cielo con le sue nubi soffocava la terra e le rupi nere della terra soffocavano il cielo.
Erano paesaggi visionari tratti forse dal muro macchiato, devastato dal tempo e dai colpi, con cui Leonardo esercitava la sua fantasia o meglio tratti della «bacinella di zinco dove aveva fatto d’oro per via umida, i sali di ferro evaporando lasciassero come un paesaggio» (2) e simile “all’incinta che trasmetteva al feto”, lui trasmetteva sulle sue tele la compressione di una “mano larvale” sul suo cuore e l’impronta che qualche essere fatale lasciava nell’aria della sua stanza.
«… dipende dalla distanza in cui si guardano ed ecco, le loro colate catramose, le nere rocce, i neri marosi, le nere nubi aggrovigliati si iridano e sorridono in un grande barbaglio di ilare luce. … Ma è la materia pittorica stessa che incanta. Lo spessore pecioso, Strindberg lavora stupendamente, talvolta seccandone la grassezza con polvere di gesso, talvolta stendendolo non col pennello soltanto, ma raschiandolo con la spatola, ma tempestandolo con la puntina d’un coltello». (3)
«Strindberg entrò così nel regno degli esseri di pura psiche disincarnata; ebbe accesso al mondo sottile, immaginale delle energie plasmatrici. … Non sulle ali di un inno, ma per la forza dell’urlo poté inoltrarsi fra quelle forze insondabili che annodano i destini, ravvisando gli uomini ormai come larve che agitano tentacoli di nebbia». (4)
(1) Zolla E., op. cit. (2), pp.560-561, 565-566.
(2) ivi, p.564.
(3) ivi, pp.566-567.
(4) ivi, p.566.