Perché ci piacciono i film tristi e i serial killer? Perché il silenzio ci imbarazza e spesso dimentichiamo di sostituire il rotolo di carta igienica? E, soprattutto, perché ridiamo nei momenti inopportuni?
Perché il silenzio ci imbarazza? Anche se non abbiamo nulla di importante da dire, spesso sentiamo il desiderio di riempire ogni momento di silenzio con la conversazione. Il silenzio infatti ci mette a disagio.
Secondo lo psicologo Namkje Koudenburg, tutto si ridurrebbe al nostro primordiale desiderio di appartenenza e sintonia con il gruppo: quando il ritmo della conversazione non segue il flusso tradizionale, iniziamo a temere che potrebbe esserci qualcosa di sbagliato e a pensare che siamo poco interessanti o meno rilevanti. D’altra parte, quando c’è dialogo, come previsto, ci sentiamo socialmente apprezzati. Ma non tutte le culture vivono l’esperienza del silenzio come imbarazzante. Per esempio in Giappone una lunga pausa può essere un segno di rispetto, soprattutto dopo una domanda seria. Anche gli aborigeni australiani, i finlandesi e alcune popoli asiatici apprezzano le lunghe pause di silenzio nei loro discorsi.
Perché spettegoliamo? Forse perché la maggior parte di noi ha un desiderio intrinseco di legame con chi ci circonda. Vogliamo formare connessioni sociali, e il pettegolezzo non solo ci dà qualcosa di cui (s)parlare, ma crea immediatamente un senso di fiducia, poiché segnala all’interlocutore che ci fidiamo di lui per raccontargli segreti altrui. A sua volta, l’altro condivide altri segreti, e si stabilisce un rapporto.
Una ricerca dell’Università di Amsterdam ha rilevato che il 90% delle conversazioni in ufficio sono qualificabili come pettegolezzi. E una ricerca del Georgia Institute of Technology ha concluso che il pettegolezzo costituisce il 15% delle email di ufficio. Ma il gossip ci dà anche un senso di superiorità, è buono per una risata, e mette un po’ di pepe alla vita quotidiana. L’antropologo Robin Dunbar ritiene che il gossip in parte abbia guidato lo sviluppo del nostro cervello: secondo lui il linguaggio si è evoluto dal desiderio del pettegolezzo.
Perché sobbalziamo quando ci addormentiamo? Ben il 70% delle persone dichiara di avere contrazioni o sobbalzi involontari (le cosiddette scosse ipnagogiche), quando sta per ad addormentarsi. Se non siete tra questi, sicuramente almeno una volta nella vita, soprattutto da giovani, lo avete sperimentato.
Si tratta di una reazione accidentale che si verifica quando il sistema nervoso affronta la transizione dalla veglia al sonno. Il nostro corpi non ha un interruttore per passare da uno stato all’altro: le scosse sarebbero gli ultimi segnali dell’organismo in fase di veglia
Ma c’è anche chi pensa che sia una risposta evolutiva: un riflesso dei nostri antenati primati, che gli impediva di rilassarsi troppo e… cadere dai rami.
Perché dimentichiamo di sostituire il rotolo di carta igienica? Pigrizia? No, secondo gli psicologi della University of New York, in realtà non è per pigrizia, ma perché la sostituzione del rullo non è minimamente stimolante e non offre praticamente alcuna ricompensa intrinseca.
Secondo Edward Deci e Richard Ryan, per essere veramente motivati ??a fare qualsiasi cosa, il compito deve soddisfare tre esigenze psicologiche: farci sentire competenti, in grado di controllare ciò che stiamo facendo e darci la sensazione di migliorare le nostre relazioni sociali.
Questa teoria è conosciuta come la teoria all’autodeterminazione. E si applicherebbe anche alla sostituzione del rotolo di carta igienica.|
Perché ridiamo nei momenti meno opportuni? Alzi la mano chi non è mai incappato in una risata fuori luogo. Tipo quando qualcuno… cade. O ci comunica una notizia ferale. O, persino a un… funerale. Perché ammettiamolo: ridere in queste situazioni, non è corretto, ma è molto comune. E c’è una buona ragione.
Secondo la neuroscienziata Sophie Scott, usiamo il riso come metodo per stabilire legami sociali, per mostrare gradimento e per mostrare a qualcuno che siamo d’accordo con lui. Dunque nei momenti in cui non si dovrebbe ridere, la risata potrebbe essere il nostro tentativo inconscio di entrare in contatto con un interlocutore per superare l’imbarazzo.
Perché ci affascinano i killer psicopatici? Basta guardare la tv, per cogliere il successo dei serial killer (in foto: una scena da Psyco). Ma come si spiega il nostro interesse per gli autori di orribili delitti? Ci sono 3 teorie a riguardo.
La prima ipotesi è che guardare gli psicopatici ci permette di fare una fuga dai nostri comportamenti corretti. Mettendoci nei loro panni (anche inconsapevolmente) ci liberiamo per qualche ora dai nostri obblighi senza realmente causare alcun danno.
Secondo lo psicologo forense J. Reid Meloy, invece, gli psicopatici sono un tipo di predatore, e sentir parlare di loro ci collega con la nostra esistenza primordiale di preda e cacciatore.
Infine, lo psichiatra di Harvard Ron Schouten ritiene che la passione per gli psicopatici è simile a quella per i film horror o le montagne russe. A volte ci piace essere spaventati, perché lo spavento invia una scarica di neurotrasmettitori, tra cui la dopamina, che evoca sensazioni di piacere.
Perché ci piacciono i film tristi? Anche se può sembrare un controsenso, guardare le tragedie al cinema ci fa sentire più felici nel breve termine e aumenta di conseguenza il nostro godimento del film.
I ricercatori della Ohio State University hanno scoperto che la visione di film tristi ci induce a riflettere sulle nostre relazioni intime, facendoci sentire soddisfatti della nostra vita. Vedere le tragedie sullo schermo, è come un’iniezione di autostima. “Le storie tragiche spesso si concentrano su temi di amore eterno, e questo porta gli spettatori a pensare ai loro cari e contare le cose buone che hanno”, spiega Silvia Knobloch-Westerwick , autore dello studio. Ma vedere film o ascoltare storie di altri ci induce a provare empatia e spinge il nostro cervello a rilasciare l’ossitocina, che aumenta i nostri sentimenti di cura. Dopo un film triste e il conseguente afflusso di ossitocina, ci sentiamo più in contatto con le persone e più soddisfatti, anche se abbiamo pianto.
FONTE: focus.it