“Mi chiedo sempre se alla fine di ogni mia giornata, ho sorriso abbastanza”. Forse è inutile eccedere nelle presentazioni. Michelone è così, come l’ultima risposta che ci ha dato alla fine della nostra breve, ma intensa intervista. “Tu, prima di andare a dormire, a che pensi?” Trentun’anni, ragusano d’origine, alto poco meno di due metri, la “r” moscia ed un cognome di cui va orgoglioso: Arezzo.
“Il primo libro – ci racconta – si chiama Bianco Fumo e l’ho scritto nel 2006. Non ho neanche una copia a casa mia; una scrittura che appartiene al passato, il primo libro era più una voglia di autocelebrarsi e di gasarsi, ogni riga. Era come se avessi scritto un po’ per me stesso” – continua. “Sette e tredici, invece – la sua seconda pubblicazione – è un conto alla rovescia, un fiato lungo, una solitudine di gesti interrotti, sorrisi spezzati, parole perdute. Sette e tredici è una verità di ultime volte”.
La scrittura è un mestiere faticosissimo che assorbe quasi tutte le energie, ma è anche un privilegio per chi riesce a dedicarle del tempo pieno, scegliendo di vivere per mesi con i propri personaggi, cui ci si affeziona, con cui talvolta persino ci si arrabbia, perché prendono delle strade che non ci aspettiamo e che sfuggono anche al nostro controllo.
Ecco perché, secondo Michele, la parola “fine”nei libri, non la si mette mai. Ogni libro è un gigante d’amore, sostiene.
Michele si innamora ogni giorno. Ogni mattina. Michele si innamora ogni volta che va nelle scuole a parlare di lotta alla mafia. Si innamora della timidezza dei ragazzi quando chiede loro se hanno voglia di fargli delle domande. Si innamora di quelli che poi l’imbarazzo lo vincono e gli fanno le domande più belle del mondo: i bambini.
“Mi innamoro degli occhi con cui la gente guarda il mondo, e lo cattura, ognuno con i propri, di occhi… occorre solo chiedersi: “tu cosa ne pensi?” – dice. Questa è la domanda per la quale è nato il laboratorio curato proprio da lui: “Il club del libro” che si terrà al Masd un paio di ore la settimana. Prendersi del tempo per chiedersi cosa ne pensiamo. Per partire da dove, di solito, si è costretti a fermarsi.
Prendersi del tempo per capire quanto c’è di sconosciuto ancora in ognuno di noi, per incidersi sulla pelle che le distanze …tutte… vanno accorciate. Sempre. Due ore di tempo per avvicinarsi all’arte, alla fotografia, ai film, ai documentari, ai libri, alla letteratura. Quella letteratura, fatta da esseri umani che, come tutti gli esseri umani, hanno delle storie che si portano dietro.
“E faccio un pensiero un po’ presuntuoso – continua. Me lo immagino il “club del libro” in un teatro pieno di gente”. “Due ore di bellezza, questo è il club del libro – conclude – prendersi del tempo per ritrovare la bellezza”.
Tempo di cui abbiamo bisogno tutti. Abbassa lo sguardo e sorride. Credo che per oggi si è già portato a casa così tanti sorrisi che, stanotte, nel suo ultimo pensiero prima di addormentarsi, può sentirsi abbastanza soddisfatto.
(nella foto Michele Arezzo)