In un tempo lontano, c’era un uomo di nome Piaget che diceva a gran voce: ” Se volete essere creativi, rimanete in parte bambini, con la creatività e la fantasia che li contraddistingue prima che siano deformati dalla società degli adulti”.
E’ il mantra di Francesco Licitra, ragusano d’origine che, dopo aver girato l’Europa, decide di stabilirsi nella sua città natale in cui vive da circa tre anni per dedicare interamente il suo tempo libero ad una passione che, fin da bambino, coltiva e porta avanti: trasformare materiali poveri che lo affascinano, quali legno trovato sulle spiagge, ferro o pietra, in pezzi unici. Pezzi che hanno il potere di non lasciarti indifferente.
E’ l’odore della colla, il profumo del legno, la fatica del lavoro ed il rumore del mare di fronte ad accoglierci nella “casa/bottega” di Francesco in cui trovare un sottofondo musicale di scalpelli, lame ed attrezzi d’artigiano è un gioco assai semplice.
Ogni opera è pensata per durare a lungo ed è realizzata con gesti abili, antichi e con materiali migliori per valere a pieno il prezzo pagato per acquistarla.
“La passione del fare, del costruire, del trasformare l’ho avuta da sempre, sin da piccolo – ci racconta Francesco – poi arriva lo spazio a disposizione dove poter sperimentare e quella pazza idea che non riesci a toglierti dalla testa finché non l’hai realizzata”.
La “pazza” idea è quella di raccogliere e divulgare uno stile di vita da artigiano che si racchiude in un progetto che ha intitolato “Rarica” e che include non solo la passione per il legno e la pietra locale, ma anche uno stretto e forte legame con il territorio e la creatività: questi sono i binari che guidano Francesco nel suo lavoro e nelle sue opere artistiche.
“Rarica nasce da legni trovati in spiaggia che si tramutano in orecchie giganti di elefanti, la faccia e la proboscide sono ricavate da una palma africana, le orecchie sono due ostie in legno di carrubo e le zanne sono realizzate con del comunissimo legno trovato a mare.
Legni che vengono trasportati dalle correnti – attraverso i segni della sua superficie, il suo colore e la sua consistenza – conserva la grande memoria della sua storia: seme, pianta, albero, crescita e decadimento tutto in un unico materiale, sdradicato da qualche fiume fino a giungere in mare che lo restituisce alla spiaggia, un luogo “limbo” dove recuperare elementi sospesi dal tempo.
Tutti questi concetti riemergono prepotentemente nelle similitudini che Francesco va a comporre, quindi è necessario conservare l’autenticità dei legni raccolti, i quali vengono semplicemente tagliati alle dimensioni ideali, assemblati o pitturati. Per questo, i suoi lavori appaiono straordinariamente vivi e preziosi, e – come ci ha confidato Francesco – ogni opera racchiude in sé un’autonomia propria.
“Vorrei che il mio progetto girasse nei circuiti artistici – ci confessa ancora Francesco – quindi, sono necessari alcuni canali che rivalutino l’artigianato locale. La parte meravigliosa di vivere in una piccola città è andare a bussare alle botteghe dei falegnami, dei lattonieri, degli artigiani locali che, ogni giorno, mettono a disposizione degli altri la loro esperienza. Ricevere dei consigli da chi con le mani crea, sperimenta, ha gusto ed inventa mi ripaga enormemente”.
“Una volta creata una scultura mi piacerebbe vederla altrove, lontana da me. Mi piace pensare che qualcun’ altro possa sentire la necessità di prendersene cura e conservarla come testimonianza di un determinato momento. Mi piace pensare che ognuno di loro, poi, ci veda quel che vuole, quel che più lo porta a sognare”.
A volte non serve solo viaggiar tanto. A volte basta solo saper guardare le cose invece di vederle e basta.