E’ forse uno dei più bei film italiani del 2018 e merita certamente di essere visto. Non è agiografico, non è pietistico, non vuole dare colpe e racconta con fredda lucidità e distacco una tragedia italiana: la morte di Stefano Cucchi, giovane di 30 anni arrestato a Roma con l’accusa di spaccio e morto sette giorni il suo arresto. “Sulla mia pelle” è il film che tutti dovrebbero vedere perché racconta la vicenda di Stefano Cucchi, divenuto quasi una Figura Christi senza essere per questo santificato e perché vuole aprire uno spaccato su una realtà che appare tanto lontana quanto ricca di pregiudizi: il mondo delle carceri italiane e della sua incomprensibile burocrazia.
Il film di Alessio Cremonini non è né un documentario, né un film che vuole necessariamente presentare Stefano Cucchi come “il protagonista buono”. Racconta, invece, con una certa asciuttezza stilistica, una vicenda che forse non sarebbe mai balzata agli onori della cronaca se i parenti del ragazzo non avessero reso pubbliche le terribili foto del giovane.
Il Cucchi di Alessandro Borghi è stato interpretato secondo le testimonianze di tutti coloro che hanno avuto contatti con lui durante i sette giorni del suo arresto, né più, né meno. Stefano è un ragazzo che ha avuto problemi con la droga e che, nonostante abbia provato a tirarsi fuori da quel mondo, è comunque ricaduto nel tunnel: è un piccolo spacciatore di hashish e cocaina e appare in ottime condizioni fisiche all’inizio del film, pur soffrendo di epilessia. Geometra, proviene da una buona famiglia che ha sempre tentato di aiutarlo in cui la legalità e il rispetto della divisa sono sempre stati dei valori. Trovato dai carabinieri in possesso di droga, viene arrestato. Inizia da questo momento una specie di discesa agli inferi in cui il giovane Cucchi viene dapprima picchiato da carabinieri in borghese (la scena non viene mostrata dal regista, ma comunque è intuita dallo spettatore) e poi viene convalidato l’arresto dal giudice. Le sue condizioni, però, continuano a peggiorare: ha due vertebre rotte e diverse contusioni. Cucchi, però, rifiuta di parlare chiaramente e spesso rifiuta anche le cure mediche: non si fida di nessuno, appare sempre sulla difensiva e nessuno sembra poi preoccuparsi più di tanto di questo stato di cose. Alla fine, viene quasi lasciato al suo destino fino a quando, dopo sette giorni dal suo arresto, viene trovato morto nel suo letto d’ospedale all’interno della struttura protetta dell’ospedale Sandro Pertini, solo e denutrito. I genitori non riusciranno mai a vederlo vivo a causa di sciocchi problemi burocratici. Il film è profondamente sconfortante e fortemente angosciante. Sulla mia pelle è, in realtà, sulla nostra pelle: si rimane impotenti e profondamente turbati dalla morte di Cucchi, si sta scomodi sulla sedia perché si assiste impotenti alla fine di un ragazzo con problemi che potrebbe essere il nostro vicino di casa, nostro amico, nostro fratello. Così come sembra quasi che tutti restino a guardare il ragazzo morire, la stessa cosa avviene allo spettatore: resta impotente e angosciato di fronte a questa inspiegabile morte. Consigliato per il suo forte valore simbolico.