La tradizione del Carnevale, nell’antica contea di Modica, affonda le sue radici nell’Ottocento. Almeno, è da quel periodo che abbiamo testimonianze storiche circa questa festa. Così come ci racconta Serafino Amabile Guastella nel suo indispensabile “Il carnevale della contea di Modica”, edito nel 1886, Carnevale era soprattutto una festa in cui si esercitava la carità.
Ed era Carnevale la festa in cui si facevano i maccheroni fatti in casa con un minestrone a base di lardo. Molti di quei sapori non sono cambiati. La ricetta prevede di utilizzare alcuni pezzi di maiale particolarmente saporiti come pancetta, puntine, costine e un po’ di magro. La ricetta, poi, si è “nobilizzata” utilizzando gli ancora più saporiti ravioli di ricotta. Ma cosa prevede la ricetta del sugo di maiale? Come si prepara?
Dopo aver fatto un soffritto a base di cipolla e aver fatto rosolare la carne, bisogna aggiungere un po’ di “strattu” di pomodoro e, infine, conserva di pomodoro per diluire il tutto. Infine, lasciar cuocere a fuoco lento per almeno un’oretta. La carne, infatti, deve risultare tenera e succosa, praticamente si deve sciogliere in bocca. Questo sugo è l’ideale per condire i classici maccheroni sia la domenica che il martedì.
Il Guastella, scrive: “Il giovedì grasso era ed è chiamato di lu lardaloru per un minestrone, solito a farsi in quel giorno, e che su per giù arieggia le minestre di Genova. Il principale ingrediente sono grossi pezzi di lardo, al quale vengono mescolati quanti più legumi, e quante di erbe ortalizie si possano”. Poi, aggiunge: “Il mintestrone in quei casi ha la virtù del ferro calamitato: attira a sé i membri della famiglia”.
Il Guastella racconta il martedì grasso: “Quell’ultimo giorno di carnevale sembrava un mercato di commestibili. Per tutte le vie, pei vicoli, per gli angiporti erano stese al sole, in canestri collocati sui tetti e su le finestre, tutte le varietà di maccheroni domestici (ciazzìsi, ciazzisuotti, maccarruna a lu ‘usu, maccarrunedda ri zita, scivulietti, cavatieddi, gnucchitti, lasagni, taccuna, pizzuliatieddi, ‘ncucciatieddi, melinfanti, filatieddi, gnuocculi, pastarattedda, virmicieddi, alica). Filze di capretti e di agnelli dalle budella sporgenti s’incrocicchiavano per le vie con filze di conigli e di lepri, privi dell’interiora; i capponi s’incontravano con le pernici; il fiasco di zibibo, destinato al notaro, col bottigline di ‘nzolia bianca, regalato al cappellano di casa; spesso un’ala di fegato s’incontrava in un’altra ala fi fegato dello stesso maiale…Le servette erano affaccendate a correr da questa a quell’altra casa or con la farina, o col cacio, or con la ricotta, or con la carne”.