E’ giovane, è donna, è il capitano di una nave. Ed è sicuramente la persona che ha più fatto parlare di sé in questi giorni.
Laureata in scienze nautiche, Carola Rackete è la 31enne nata in Germania a capo della Sea Watch 3, la Ong tedesca entrata nelle acque italiane con i 42 migranti a bordo ignorando il divieto del Viminale. Dal 2011 al 2013 è stata al timone di una nave rompighiaccio nel Polo Nord per uno dei maggiori istituti di ricerca polare e marina. All’età di 25 anni è diventata secondo ufficiale dello yatch da spedizione “Ocean Diamond” e poi a 27 della GreenPeace. Nel 2014 la giovane ha preso parte ai servizi di volontariato nelle zone vulcaniche della Kamchatka in Russia, dove si è occupata di educazione ambientale per bambini, ricerca botanica e turismo locale. Dodici mesi dopo il Master all’Università inglese Edge Hill nel Lancashire.
E poi c’è lui: il capitano. Il Ministro degli Interni più social del mondo, sempre in campagna elettorale, l’unico politico che può permettersi di postare foto mentre mangia una brioche senza che nessuno gridi al “politico mangia a sbafo” o a reminiscenze storiche. Il capitano di chi si accontenta degli slogan, di chi vuole risposte facili a problemi difficili. Il capitano che si è incoronato da solo capitano.
E la vicenda della Sea Watch è una vicenda difficile, dove insistono sfumature, dove le cose non sono bianche o nere e non è facile parlarne senza scadere nella retorica e senza portarsi addosso l’odio degli haters di Facebook. Carola Rackete non è certo un’eroina. E l’Europa, con il suo fare pilatesco, non ha voluto muovere un dito e così ha condannato una giovane a prendersi una responsabilità certamente più grande di lei. Di certo, l’Italia ha le sue ragioni e le politiche migratorie andrebbero quantomeno trattate con il rispetto e la dignità che spetterebbero a queste persone e non gettarle in pasto ai social. Respinti dalla Germania, respinti dall’Olanda ma da due settimane in mare. Già, perché forse qualcuno l’ha scordato: quegli uomini e quelle donne sono da due settimane in mare. Sono fermi, immobili, vittime di un braccio di ferro inutile e irrispettoso, senza che quell’umano senso di piètas, concetto tanto caro ai nostri avi romani e che avremmo dovuto ereditare, riesca a smuovere il Viminale o l’Europa.
Salvini tuona: “Non sbarcheranno, schiero la forza pubblica. Ora mi aspetto che qualcuno emetta un ordine di arresto”. E sia, ma almeno riflettiamo su questo dato: il Ministro ha urlato queste frasi ogni qualvolta si è presentata una nave al largo delle coste italiane. Ogni volta, sono sbarcati. L’unico risultato ottenuto è stato quello di infliggere sofferenza a delle persone.
“In 14 giorni – lamenta Sea Watch – nessuna soluzione politica e giuridica è stata possibile, l’Europa ci ha abbandonati. La nostra comandante non ha scelta”. E sicuramente è vero. Ma intanto, la Sea Watch resta in mare, davanti al porto di Lampedusa e non sbarca. Con le persone dentro.
Ma non spettava a Carola Rackete prendere una decisione così difficile. E il Ministro è fin troppo occupato a mostrare il pugno di ferro per fare marcia indietro e a passare per l’ennesima volta come una vittima dell’Europa o dei migranti. Lo stallo continua, e la situazione è allo stremo. I due capitani si sono confrontati, ma non c’è stato alcun vincitore. In questa vicenda, tutti perdono.