Pubblichiamo questo articolo di Alessia Barone che interviene in modo molto passionale sul concetto di diversità.
“I matti sono punti di domanda senza frase, migliaia di astronavi che non tornano alla base, sono dei pupazzi stesi ad asciugare al sole, i matti sono apostoli di un Dio che non li vuole. Mi fabbrico la neve col polisterolo, la mia patologia è che son rimasto solo…ora prendete un telescopio e misurate le distanze: chi tra me e voi è più pericoloso?”
-Ti regalerò una rosa, Simone Cristicchi.
Diamo un’ accezione negativa al termine “diversità”, ma in realtà siamo tutti diversi ed è normale che sia così. Spesso si cade nella trappola del moralismo: “siamo tutti uguali, non esiste diversità”; seguendo questa logica ciò che accade è che non vengono attuate opportunità socali e lavorative in base alle esigenze di ogni singolo. Dovremmo invece mettere da parte il finto moralismo, guardare in faccia la realtà e cambiarla!
Ho fatto esperienza di volontariato in un’ impresa sociale comisana per persone con disabilità,
ma, con mio grande rammarico ho vissuto insieme ai ragazzi svantaggiati il dolore di non avere un obiettivo.
La mission di tante imprese come questa è di formare e sostenere il ragazzo/a dal punto di vista socio-educatico e dal punto di vista psico-fisico, al fine di renderlo pronto per un inserimento lavorativo in ambiente protetto.
Ma non esistono – in molti casi- figure competenti all’ interno di queste imprese, figure di cui i ragazzi dovrebbero goderne di diritto. Non vi sono perché la possibilità di ingaggio e retribuzione è assente, anche se le istituzioni o chi si è assunto la responsabilità di sovvenzionare l’impresa stessa, dovrebbero per dovere garantire la presenza di educatori, tutor e psicologi per accompagnare le persone svantaggiate in un percorso di crescita personale e sociale.
Invece vi è una totale assenza di ciò che è indispensabile, e mi chiedo, -come spero si chiedano altre persone-, quale scopo può avere un’ impresa sociale che da la possibilità di fare dei lavori senza una guida educativa, senza un oggetto di gratificazione e senza che ci sia un obiettivo comune? Diventa semplicemente un posto in cui far sopravvivere per qualche ora persone che in quanto tali dovrebbero essere valorizzate e che dovrebbero avere un ruolo protetto ma attivo nella società. Ecco perché dovremmo mettere da parte il moralismo e la pietà. Le persone svantaggiate e le loro famiglie non vogliono questo bensì vorrebbero per i loro figli gratificazione e integrazione.
Quindi il mio è un appello per tutti coloro che gestiscono imprese sociali, cooperative, associazioni e fondazioni: lottate e lottiamo per dare a questi ragazzi ciò che gli spetta. Dignità, prospettive future, sostegno emotivo e psicologico; facciamoli Vivere non sopravvivere.
Il mio appello va anche alle istituzioni locali e non: cerchiamo e cercate di creare ponti. Più il ponte è lungo maggiori saranno le possibilità di concretizzare ciò che spesso sono solo parole al vento: opportunità per ogni singolo.
Non lasciamo che la nostra società diventi la prigione di chi non ha voce, non lasciamo che le malattie o patologie psichiche abbiano per cura solo i farmaci.
La società deve essere cura e guida di chi da solo non può camminare, ma che accompagnato può risplendere di luce propria.