L’ ultima volta abbiamo parlato della sindrome da crocerossina e del disturbo di personalità dipendente. Queste problematiche hanno una componente comune: il forte bisogno d’ amore ed una voragine interiore che determinano degli scompensi e dei problemi affettivi. Molto spesso questo accade, come abbiamo detto, a causa di un’ infanzia in cui non si è ricevuto amore nella misura in cui è necessario per crescere emotivamente in maniera sana, e per questo, inconsciamente mettiamo in atto la ricerca dell’ oggetto da amare e da cui trarre amore, che diventerà nel tempo una corsa senza fine ma sopratutto senza risultati. Finchè, facendo i conti con noi stessi, ci renderemo conto che non ha più senso lottare per qualcosa che non può in alcun modo cambiare… l’ unico modo per risolvere quel vuoto è ricominciare dall’ amore per noi stessi.
Il percorso d’ accettazione è una delle cose più difficili da affrontare.
-Prima di tutto bisogna trovare la forza di chiedere aiuto, rivolgendosi ad esempio ad uno psicoterapeuta (figura differente dallo psicologo), il quale promuove sia il cambiamento, attraverso la parola e l’ ascolto, sia una maggiore conoscenza di sè. E’ importante sottolineare che a volte non basta sfogarsi con un amico o un familiare fidato; ci sono delle circostanze in cui nonostante si ha la consapevolezza di ciò che ci fa soffrire, non siamo in grado di mettere in atto dei comportamenti funzionali al nostro benessere, motivo per cui è necessaria la psicoterapia, all’ interno della quale lo psicoterapeuta fornirà gli strumenti per promuovere il cambiamento.-
Ma cos’è l’ accettazione? E’ l’ assunzione di consapevolezza che un certo scopo sia definitivamente compromesso, è l’ instaurarsi di un atteggiamento comportamentale consistente nella sospensione di attività inutili e che ci arrecano danno emotivo.
Ma l’ accettazione di cosa? Come si fa a comprendere quali situazioni devono essere accettate per essere superate?
“…Tutto ciò che è conseguente alla perdita di un oggetto significativo, che ha fatto parte integrante della nostra esistenza, La perdita può essere di un oggetto esterno, come la morte di una persona, la separazione geografica, l’ abbandono di un luogo; o interno, come il chiudersi di una prospettiva, la perdita della speranza nel cambiare qualcosa, un fallimento e simili.”
(Galimberti, 1999, 617)
E’ un processo lungo, delicato, in cui è necessaria una grande forza interiore. Ed è accompagnato da diverse fasi, la prima in assoluto e’ quella della negazione o rifiuto, in cui si cerca disperatamente di non arrendersi all’ idea che abbiamo perso “l’ oggetto” interno o esterno che sia. Quando la realtà diventa sfrontata si attraversa la fase dalla rabbia che può essere indirizzata a noi stessi, agli altri o nei confronti del mondo intero. Seguirà la fase della depressione, in cui diventa chiaro che di chiunque sia la colpa, se veramente di colpa si può parlare, non possiamo ne fingere che nulla sia accaduto ne continuare a coltivare ira dentro noi, perchè ci avvilisce e non è costruttiva. Ci si sente senza speranza, come se non fossimo in grado di ricominciare, di vivere diversamente rispetto agli schemi tossici in cui eravamo intrappolati. Questa fase è molto dura. Ma poi, con la forza esterna e quella di volontà, finalmente ci rendiamo conto che tutte le energie che abbiamo impiegato nel non volerci distaccare da quell’ oggetto sono più che sufficienti per essere indirizzate ad altro, a ricostruirci, a trovare nuove strade, ad accettare quel dolore e andare avanti… magari non riusciremo a dimenticare, ma potremo liberarci dal fardello della Non-Vita.
Accettare. Lasciar entrare, fluire. Dare spazio, lasciare spazio. Liberarci dalle scorie e respirare aria nuova. Accettare il cambiamento, cambiare e avere occhi nuovi, spostare lo sguardo verso nuovi orizzonti. In fondo siamo creature mutevoli, e proprio per questo siamo in grado di accettare il cambiamento. Siamo in grado di trasformare il dolore in forza.