Le prove sperimentali riguardanti l’impiego di potenziali portinnesti per la melanzana e il melone cantalupo hanno evidenziato che le diverse combinazioni nesto/portinnesto possono modulare significativamente gli aspetti produttivi delle piante e la qualità dei frutti. Risulta di notevole interesse il fatto che alcuni portinnesti come, ad esempio, il Solanum macrocarpon, nella melanzana, abbiano consentito di limitare l’accumulo di nitrati nei frutti. Inoltre, per alcuni portinnesti sperimentali è stata osservata una buona produttività delle piante che ha consentito di incrementare l’efficienza d’uso dell’azoto. Questi alcuni aspetti illustrati ieri pomeriggio, alla sala Avis di Ragusa, con riferimento alla fase conclusiva del progetto avente per titolo “Portinnesti innovativi per migliorare gli aspetti quali-quantitativi delle produzioni orticole e dell’efficacia d’uso delle risorse” finanziato dal Psr Sicilia 2014-2022, sottomisura 16.1. I risultati, illustrati dai moderatori Youssef Rouphael dell’Università di Napoli Federico II e Salvatore La Bella di Corissia, hanno consentito di evidenziare che, sia per la melanzana, sia per il melone cantalupo, sono state individuate specifiche combinazioni nesto/portinnesto in grado di fornire buone capacità vegeto-produttive anche quando coltivate con dosi subottimali di azoto.
Tra i vari interventi quello di Leo Sabatino dell’Università di Palermo che ha parlato di alcune specie selvatiche come potenziali portinnesti per la melanzana coltivata in piena terra mentre Beppe Benedetto Consentino, sempre dell’Ateneo palermitano, si è soffermato sugli effetti sinergici tra nuovi potenziali portinnesti per la melanzana e diversi livelli di azoto per l’incremento delle rese, della qualità dei frutti e dell’efficienza d’uso dell’azoto in fuori suolo. Interessante l’intervento di Gaetano La Placa, consulente ProSea Srl così come quello di Fabiana Mancuso dell’Università di Palermo mentre Lorena Vultaggio ha chiarito qual è l’effetto interattivo tra nuovi potenziali portinnesti e diversi livelli di azoto sugli aspetti quanti-qualitativi del melone cantalupo coltivato in fuori suolo. Diciannove i partner del progetto che hanno evidenziato come per il melone cantalupo, durante il primo anno di prova, sia stato impiegato il Cucumis metuliferus
, specie selvatica ed affine al melone che, tuttavia, nell’ambiente utilizzato (ambiente protetto), ha presentato la produzione di masse iperplastiche a livello del punto di innesto, mostrando disaffinità. In sostanza le prove di campo sono state finalizzate a ridurre l’uso di sostanze chimiche di sintesi per la difesa fitosanitaria e a razionalizzare la fertilizzazione nel rispetto dei principi eco-tossicologici ed economici e a reimpiegare
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