Tutta Giarratana, questa mattina, ha voluto dare l’estremo saluto a don Marco Fiore, il sacerdote che si è spento nei giorni scorsi all’età di appena 46 anni per un male incurabile. E’ stato il vescovo della diocesi di Ragusa, mons. Giuseppe La Placa, a impartire la benedizione, alla presenza di numerosi sacerdoti, dopo che già le esequie funebre erano state tenute ieri al duomo di Catania con la celebrazione presieduta dall’arcivescovo Luigi Renna, nel contesto di un edificio di culto gremito in ogni ordine di posto. Così come è accaduto questa mattina in chiesa Madre, a testimonianza di come don Marco fosse benvoluto da tutti.
Il vescovo La Placa ha ricordato la figura di don Marco e la serenità con cui stava vivendo questa difficile prova. Anche il sindaco Lino Giaquinta, alla fine della celebrazione, è intervenuto per portare tutto il cordoglio dell’intera comunità cittadina. La salma è stata tumulata nel cimitero comunale. Numerosi i momenti di commozione che hanno caratterizzato la celebrazione.
Il vescovo, inoltre, ha letto il testamento spirituale di don Marco. Ecco che cosa c’era scritto:
“All’Eterno Padre, al suo Figlio e allo Spirito d’amore che sostengono la Chiesa, madre e
sposa, anzitutto il mio grazie per tutti i doni che mi sono stati concessi nella vita, perché sono nato
in una famiglia cristiana che mi ha fatto sperimentare la bellezza di essere amato e di poter
ricambiare l’amore ricevuto. I miei genitori, Maria Pina e Giorgio e tutta la mia meravigliosa
famiglia hanno contribuito ad essere colui che in tanti hanno conosciuto, aggiungendo nelle infinite
relazioni bene su bene. Sono stato chiamato ad essere cristiano. È l’esperienza determinante della
mia vita! Incontrando innanzitutto, non direttamente Cristo ma la sua sposa, la Chiesa, me ne sono
innamorato. Sì! Ho amato la Chiesa, fatta di uomini e donne, che vivono la vita di ogni giorno, si
incontrano, celebrano, si spendono nella carità, testimoniano, annunciano il Vangelo e portano nel
mondo la gioia di un incontro vero con il Signore. La mia vita è tutta qui.
Tre aspetti voglio sottolineare che mi piace consegnare a tutti.
La vita è tutta nella chiamata. La vita è questione di vocazione. Il Signore chiama il cristiano
a seguirlo per realizzare il suo progetto di vita. Da bambino, ragazzo e giovane non avrei mai
pensato ad una chiamata particolare. Ma quando dopo gli studi è arrivata, tutto ha avuto senso. Mi
sono sentito chiamato alla felicità e a un sì nel ministero ordinato che ha dato senso al tutto. Ogni
cosa al suo posto. E così è stato da quel momento in avanti, nonostante le difficoltà di un cammino
che mi ha portato lontano dalle mie origini a Giarratana, ma in una realtà ecclesiale che ho amato
come per una elezione particolare di Dio. I tanti esempi di sacerdoti, e su tutti padre Giovanni
Giaquinta, con cui la vocazione è sbocciata, e padre Alfio Daquino, con cui si è alimentata, insieme
alle esperienze parrocchiali, hanno costituito il fondamento su cui poter costruire tutto. Sono gli
anni del seminario che mi hanno segnato e che resteranno come gli anni più belli della mia vita.
Un ministero e la malattia. Il mio ministero sacerdotale dopo l’ordinazione, ha avuto subito
un particolare indirizzo. Una brevissima esperienza pastorale a Fleri che mi è servita tantissimo e
poi lo studio a Loppiano e Firenze. Il Movimento dei Focolari certamente ha segnato la mia
spiritualità fin da ragazzo. Ma poter vivere un’esperienza vera di studio e di vita Sophia ha
cambiato radicalmente il mio ministero con orizzonti ampi e interessi nuovi. Il dialogo ecumenico
con le chiese ortodosse, oggetto dei miei studi ne è il segno più eloquente fino alla pubblicazione
della mia tesi. Al rientro l’impegno allo studio Teologico S. Paolo come docente e una passione
vera verso la ricerca e la possibilità di confrontarsi con gli studenti a 360°. Una ricchezza enorme
per il mio ministero. E poi ancora la splendida realtà di San Benedetto come cappellano delle
monache benedettine soprattutto nel tempo della pandemia. E poi da quell’ottobre 2020 un cambio
radicale: la malattia! È tutto diverso, tutto impensabile. Tanti perché e una sola risposta. Anche
questa è una vocazione. Se Dio mi chiama io perché dovrei rifiutare una risposta. E dico ancora il
mio Sì, accogliendo tutto quello che da lì in avanti succederà nella mia vita, per un tempo
inaspettatamente lungo e intenso.
Di nuovo in seminario. Una ripresa lenta e in fondo la consapevolezza che potrò fare ben
poco. Forse insegnare, celebrare, magari qualche incontro o poco più. E invece sono ancora una
volta chiamato da Dio a mettermi in gioco in seminario come formatore. È l’esperienza più
straordinaria della mia vita! Un progetto nuovo, il seminario interdiocesano, con persone nuove.
Persone che riempiono la mia vita e le danno una modalità per vivere la malattia che fa emergere un
lato di me che neanch’io pensavo di possedere. Sarò eternamente grato al Signore per avermi messo
accanto padre Salvo Cubito. Nella fraternità vera nata dal ministero e cresciuta stando insieme
giorno dopo giorno, e nel rapporto leale con padre Vincenzo Branchina, credo di aver vissuto gli
ultimi anni come carichi di vita, un’esplosione di vita che certamente hanno trovato nei seminaristi,
nei miei carissimi e amati seminaristi il punto focale, per loro e con loro ho realizzato tutto quanto
potessi desiderare dal mio ministero.
Nessun rimpianto”.
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