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No trivellazioni petrolifere a mare

by Redazione
5 Novembre 2018
in Politica
No trivellazioni petrolifere a mare
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I Circoli di Legambiente del territorio della ex provincia di Ragusa, ‘‘il Carrubo” di Ragusa, ”Il Melograno” di Modica e ”Sikelion” di Ispica, hanno emesso una nota sulla problematica delle ricerche petrolifere che interessano la nostra area, tornate alla ribalta dopo gli ultimi accordi stipulati dalla Regione Siciliana con le società interessate alle perforazioni. Lo riportiamo integralmente:

Possiamo facilmente immaginare a quale paese verrebbe mandato un “normale mortale” se, dopo aver chiesto di realizzare due villette, ne realizzasse solo una e poi, dopo oltre trenta anni si presentasse agli Enti preposti dichiarando di aver “dimenticato” di realizzare la seconda e di volerla realizzare solo ora.
Ma quando gli interessi sono grandi le cose vanno in modo alquanto diverso.
Un caso lampante è quello della piattaforma petrolifera Vega B della società Edison, che prevede il raddoppio della già esistente piattaforma Vega A al largo di Pozzallo. L’area dove dovrà essere ubicata rientra infatti all’interno della fascia di rispetto delle 12 miglia imposta, per i nuovi impianti, dal D.Lgs 128/2010 (Decreto Prestigiacomo in parte modificato dalla Legge 134 del 2012).
Se la piattaforma Vega B fosse considerata un nuovo progetto non potrebbe essere realizzata.
Per la Edison, invece, la Vega B non deve essere considerata un nuovo progetto, perché fa parte di un programma approvato dal Ministero oltre trent’anni fa (Decreto MICA del 17 febbraio 1984). Praticamente, dopo aver realizzato Vega A, hanno per cosi dire “dimenticato” di realizzare la seconda piattaforma e dopo trent’anni se la sono “ricordata”!
Per questo motivo, ed altri ancora, Legambiente ha scritto ai Sindaci del ragusano chiedendo con forza quali siano le loro reali intenzioni e se, in buona sostanza, oltre alle abbondanti parole profuse due anni fa contro il progetto Vega B, avranno anche la capacità di far seguire i fatti quali, ad esempio, un ricorso al TAR contro il Provvedimento di VIA dato per imminente.
Infatti alla fine dell’estate 2012 furono raccolte oltre 57 mila firme e più di 50 Sindaci siciliani, col sostegno del Governo Regionale e delle Associazioni Ambientaliste, appoggiano la campagna di Greenpeace, «U mari nun si spirtusa», contro la petrolizzazione del Canale di Sicilia, a cominciare dalla Vega B.
Quasi tutti i sindaci iblei furono “entusiasti” nel sottoscrivere quell’appello (tranne quello di Pozzallo che, seppur inizialmente lo avesse firmato, dopo qualche settimana fece una clamorosa marcia indietro) e non si contarono le numerose “gite in barca” a manifestare contro il raddoppio della piattaforma.
A quel tempo il progetto stava iniziando l’iter della VIA al Ministero.
Dopo circa due anni, fonti giornalistiche danno per quasi imminente il provvedimento di VIA. Diciamo quasi imminente in quanto la Commissione Tecnica di Valutazione Ambientale (CTVA) nel 2013 ha dato parere positivo con prescrizioni ma, a distanza di nove mesi, non ha ancora predisposto il provvedimento. Un fatto alquanto anomalo, come l’”assordante silenzio” di tutte le Amministrazioni dopo le dichiarazioni fatte nella “rovente” (per le polemiche) estate 2012.
La ferma richiesta e presa di posizione delle Associazioni ambientaliste iblee è legata, oltre alle anomalie procedurali, a tutta una serie di fattori, sia ambientali che economici.
In primis ovviamente la Questione della sicurezza. Secondo quanto dichiarato dagli “Esperti del Settore”, l’industria petrolifera negli ultimi anni ha fatto passi da gigante, sia in termini di innovazione tecnologica, che di sicurezza; un eventuale incidente sarebbe molto improbabile, anche in virtù di Leggi molto stringenti. Tuttavia, se si “spulcia” la normativa, la situazione si presenta diversa: infatti in tema di sicurezza sul lavoro va evidenziato che il Decreto Legislativo 626 del 1994 è stato modificato ben 194 volte fino a quando, alla 195esima, è stata abrogato e sostituito dal D.L. 81/2008 che a sua volta è stato già modificato 278 volte. Invece la specifica legge per le trivellazioni (D.L. 624/1996), molto simile alla 626/1994, stranamente in tutti questi anni non è stata mai modificata. Appare quanto meno curioso che un settore in continua evoluzione quale quello petrolifero abbia una specifica legge italiana sulla sicurezza dei lavoratori praticamente immutata da 20 anni. Ciò non depone certo in favore di una maggiore sicurezza anche in tema di controlli che lo Stato esercita sugli impianti.
Un eventuale incidente potrebbe causare nelle nostre coste danni incalcolabili dal punto di vista ambientale (basti ricordare ad esempio che nel 2009 il semplice sversamento di un po’ di petrolio da una singola petroliera ha inquinato decine di chilometri di spiagge nella costa ionica calabrese…). Ma anche l’economia sarebbe di conseguenza a rischio soprattutto nel settore turistico e della pesca.
Gli “Esperti del Settore” hanno sempre sostenuto che nella lontana ipotesi che ciò succeda, grazie all’adozione di opportuni interventi tale rischio verrebbe di fatto estremamente ridimensionato. Ma il “Piano di pronto intervento nazionale per la difesa da inquinamenti di idrocarburi o di altre sostanze nocive causati da incidenti marini”, approvato con Decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri il 04 Novembre 2010, in totale divergenza con quanto dichiarato dai soliti “Esperti del Settore”, riporta la seguente considerazione: “… le varie tecniche di rimozione, pur combinate tra loro e nelle condizioni ideali di luce e di mare, consentono di recuperare al massimo non più del 30% dell’idrocarburo sversato. Tale percentuale tende rapidamente a zero con il peggioramento delle condizioni meteo-marine. Impossibile operare la rimozione in assenza di luce.”
Considerato che il mare ibleo, e il Canale di Sicilia in generale, sono oggetto di interesse di diverse Società Petrolifere (Transunion Petroleum, ENI, Edison, Nautical Petroleum, Northerm Petroleum, Audax), è necessario che su questi temi si pretenda una rigorosa attenzione non solo a parole.
L’ambiente ibleo, e siciliano in generale, non ha certo bisogno di questa spada di Damocle, né l’economia potrà avere positive ripercussioni da un comparto che, grazie ad una politica collusa e corrotta, paga le royalties più basse al mondo e non paga imposte allo stato per le prime 50.000 tonnellate estratte. Alla luce di questi fatti è logico mettere a rischio il mare, il turismo e la pesca per estrarre una quantità di petrolio che servirà a fare girare i nostri camion per neanche due mesi ?

Tags: legambientericerche petroliferetrivellazioni

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