Da qualche giorno su Facebook ho cominciato a notare che parecchi amici miei stanno “postando” (così si dice nel magico mondo di Zuckerberg) dei video in cui partecipano al nuovo gioco fashion “Neknominate”. Inoltre, ho fatto caso che i primi a prendere parte a questo nuovo trend sono stati o i miei amici inglesi o gli italiani che vivono al di qua della Manica. Coloro che vivono in Italia sono arrivati successivamente, come accade con diverse mode, anche migliori.
Innanzitutto, per chi non lo sapesse, “Neknominate” è un gioco alcolico: il concetto principale è quello di filmarsi mentre si beve una pinta (o anche di più, ma la regola iniziale prevede quell’unità di misura tipicamente britannica) di un liquido alcolico tutta in un sorso, e, una volta terminata, si nominano due o tre amici. Questi a loro volta hanno il compito di compiere la stessa azione entro 24 ore dalla loro nomination. E la catena ha inizio.
Il gioco è nato quasi per caso nel Regno Unito, quando Ross Samson, giocatore professionista di rugby dei London Scottish, il quale vanta anche presenze con la prestigiosissima selezione ad invito dei Barbarians, nel giorno di Natale ha dato il via alla moda: ha pubblicato un video in cui si scolava una birra e, nel contesto di un gioco nato in un gruppo di amici a Edinburgo, ha deciso di allargare il tiro, nominando “tutti voi che non siete nati oggi. Buon Natale”.
Ora Ross è pentito di quello che ha fatto, dichiara che non sarebbe dovuta andare così, che la cosa ha preso una piega incontrollata (e incontrollabile) che lui non aveva previsto né avrebbe mai voluto. Già, perché per alcuni le conseguenze di questo gioco sono state fatali. Le autorità britanniche stimano che ci sono già stati cinque morti nel Regno Unito strettamente legati alle “Neknomination”. Addirittura c’è chi, come dei ragazzi nel West Yorkshire, hanno sfidato un bimbo di dieci anni a bere un cocktail a base di vodka. Le autorità locali, rappresentate dalla loro associazione governativa, in cui ve ne sono raccolte circa 400, hanno recentemente chiesto a Facebook e Twitter di mettere in guardia le persone con degli avvisi a proposito di questo gioco.
Ma siamo sicuri che questa sia la soluzione giusta? E’ difficile fermare una moda che si è diffusa a macchia d’olio su internet. Non saranno certo delle scritte a far smettere i ragazzi di bere davanti alle telecamere dei loro cellulari. Forse l’unica vera soluzione concreta da attuare sarebbe quella di rimuovere tutti i video in cui compare qualcuno che si beve tutta d’un fiato una pinta, per poi sfidare qualcun altro, ma sarebbe una missione quasi impossibile, oltre a sfiorare il limite della censura.
Gli inglesi sono da sempre un popolo di bevitori: dopo le cinque li vedi tutti (spesso ragazzi compresi) al pub con un bicchiere di birra in mano. E frequentemente ordinano il secondo prima ancora di poter vedere il fondo del primo. E allora? Quali sono gli elementi che hanno spinto le autorità ad intervenire ed affrontare il problema? Del resto altri giochi alcolici, come il “beer-pong” (una sorta di ping-pong dove lo scopo è tirare con le mani la pallina nel bicchiere di birra dell’avversario, non pieno fino all’orlo, costringendolo così a svuotarlo con la bocca), non hanno avuto tale risonanza né mediatica né politica.
Ovviamente le morti sono state un fattore fondamentale. Ma credo che quattro siano i problemi principali. Il primo, come testimoniato dall’età del bimbo nel West Yorkshire, è che questo gioco rende piuttosto impossibile controllare le caratteristiche di chi vi prenda parte: se vuoi comprare una birra al pub e sei minorenne non te la danno, anzi non ti fanno entrare. E similmente al supermercato.
Altre due questioni sono fortemente legate tra loro ed entrambe partono da un concetto fondamentale: la sfida, il dover superare gli altri, il dover vincere il confronto con i propri amici. La prima è che, di conseguenza, le persone si bevono bottiglie di superalcolici in un colpo solo, cosa che difficilmente succede quando esci con gli amici, anche se per ubriacarti. Magari la quantità di alcool è la stessa (o forse di più), ma la modalità con cui si beve è diversa, con pause e interruzioni, e forse per questo l’organismo reagisce meglio, oltre ad avere il tempo di dare dei segnali intermedi di sofferenza. L’altro elemento, sempre legato all’idea di spingere oltre i limiti, è l’idea di voler tentare cose che nessun altro ha fatto prima, portando a miscugli schifosi e che certamente fanno più male di un superalcolico da solo o di un cocktail già sperimentato. E poi c’è la rete, il mezzo che amplifica ogni cosa e permette a qualsiasi fenomeno, anche negativo, di raggiungere un immenso numero di persone, senza limiti geografici, e che è ormai diventato il principale centro di sfogo dell’esibizionismo dei ragazzi di oggi.
A proposito, più di un anno fa avevamo parlato del fenomeno del “milking”. Adesso, secondo la filosofia dell’andare oltre che sta dietro “Neknominate”, purtroppo siamo passati alla vodka.
Fonte: http://www.huffingtonpost.it/