Consultando il testo di Ernist Kris, Ricerche psicoanalitiche sull’arte, ho avuto modo di conoscere un altro artista, naturalmente annoverato nella lista dei “pazzi”, Messerschmidt, questo mi ha incuriosito moltissimo e direi anche intenerito.
Nelle sue ultime sculture dal 1770 in poi si è dedicato a degli autoritratti impressionanti, non certo perché realistici ma perché con un rigore di tecnica e di forma è riuscito a mummificare i suoi slanci emozionali; il suo disgusto, il suo dolore, il suo urlo, il suo riso amaro, la sua rabbia, ma questi sentimenti non sono proprio espressi, sono trattenuti, infatti sono stati visti come caricature, ma c’è qualcosa di molto più profondo.
Dicevo inizialmente che mi inteneriscono proprio perché mi trasmettono questa sofferenza repressa, queste bocche aperte, anzi spalancate non emanano alcun suono come per esempio fa il “grido del Papa di Bacon”, sembra la bocca di un muto che urla e che anche sforzandosi non riuscirà mai a emanare suono, la stessa sensazione la danno gli occhi sgranati di queste sculture; sono gli occhi vuoti di un cieco, purtroppo senza espressione.
Dei busti con le labbra serrate lo scultore dice: «L’uomo deve nascondere completamente il rosso delle labbra, perché nessun animale lo lascia vedere» (1).
Questo comportamento è naturalmente riferito a un rigido rifiuto di ogni impulso sessuale e anche di ogni impulso umano, infatti per lui è indispensabile il rigore e la proporzione, si sente addirittura perseguitato “dai demoni della proporzione”, perché invidiosi di lui, lo torturano di notte dandogli sensazioni penose al basso ventre e alle cosce.
Queste forze feroci di auto repressione in un delirio hanno costretto Messerschmidt a ridurre in una forma non umana due delle sue “pitture di marmo e piombo”, «immaginate che tutte le ossa e i muscoli di un volto umano siano stati schiacciati insieme e poi tirati in avanti in modo tale che il punto più sporgente della fronte appiattita è quello corrispondente del mento proteso formino un angolo di 20°, che cioè la faccia assuma quasi la forma di un becco, senza peraltro perdere i suoi elementi umani, le labbra non sono soltanto strettamente chiuse, … sono spinte in fuori e allungate in una forma sporgente e aguzza come fossero fatte di materiale elastico» (2).
La deformazione estrema interna alla forma e alla struttura sella sua scultura è l’ultimo stadio espressivo di un’artista che si ostina a rappresentare il dolore senza sfogo esterno.
(1) Kris, E. Ricerche psicoanalitiche sull’arte, Einaudi, Torino, 1988, p.131.
(2) ivi, pp.134-135