di Maria Strazzeri
Chi non ha mai lasciato la propria immaginazione libera di perdersi all’interno di una qualsiasi copertina di un qualsiasi disco prodotto in un qualsiasi periodo della storia della musica? Nella nostra epoca, dove la tecnologia la fa da padrone, riaffiora la voglia dell’autenticità e quindi del vinile e dell’antico negozio bottega di dischi, luogo speciale dove la percezione spazio temporale si dilatava: le mani rapide setacciavano le copertine dei nuovi e dei polverosi, lo sguardo era assorto nel contemplare l’artwork e attento nel leggere le note di copertina. Tutto ciò accadeva ovunque nel mondo, oggi invece i negozi di dischi si contano sulla punta delle dita, come una razza in via d’estinzione. Eppure questi oggetti strategic design hanno fatto la storia e le loro copertine sono rimaste indelebili nella memoria di chi le ha conosciute. L’artwork di un disco ha sempre rappresentato il tramite migliore che le bands abbiano mai utilizzato per comunicare al proprio pubblico tutto il loro universo musicale. Erano i lontani anni trenta, esattamente il 1983: il ventitreenne Alex Steinweiss ricopriva il ruolo di art director presso la Columbia Records. Erano gli anni dei manifesti, dei fogliettoni notiziari, dei volantini, gli anni in cui il concetto di grafica cominciava ad avere un ruolo rilevante nel settore editoriale. Al tempo non esisteva il concetto di packaging, i dischi, come daltronde qualsiasi oggetto era imballato con semplice carta. Fu in quel periodo che Steinweiss propose alla casa madre l’idea geniale di creare delle copertine che distinguessero i diversi 45 giri. Dovevano essere accattivanti, suggestivi e collegati al tema dei dischi che contenevano. Pochi mesi è l’idea divenne oggetto e lo sforzo iniziale fu ampiamente ripagato, tanto che le vendite crebbero dell’800%. Una salita vertiginosa. Tutti erano interessati. La prima copertina di Steinweiss vide la luce nel 1938 per un disco di Rodgers & Hart con accompagnamento orchestrale. Da quel momento in poi egli ideò e supervisionò più di 25.000 copertine di ogni genere destinate a presentare al pubblico le interpretazioni di grandissimi artisti del 900. Da quel momento in poi fotografi, pittori, filosofi e graphic desingners sisono cimentati nella realizzazione della copertina più affascinante, accattivante, interessante, che esprimesse appieno con le immagini e i colori quello che il musicista esprimeva attraverso le note. Negli anni ’60 e ‘70 un’esplosione di forme, materiali e di colori e a seguire addirittura lo stesso vinile fu colorato, reso trasparente e infine disegnato (i meravigliosi picture disc). Tanti i nomi dell’arte che prestarono la loro professione nelle diverse realizzazioni a partire da artisti pop inglesi, Peter Blake e Jann Haworth, che crearono la cover di ‘Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band’ dei Beatles nel 1967, o Andy Warhol, che nello stesso anno per il debutto del disco dei Velvet ‘Underground & Nico’ progettò la celebre copertina dove su sfondo bianco spicca un adesivo raffigurante una banana gialla e la scritta “Peel slowly and see”. Chi rimuoveva l’adesivo trovava sotto il disegno di una banana rosa. Tra le copertine più note realizzate in collaborazione con celebri artisti visivi ricordiamo poi Klaus Voormann per ‘Revolver’ dei Beatles nel 1966, il fumettista Robert Crumb per ‘Cheap Thrill’ dei Big Brother & The Holding Company nel 1968, il prisma triangolare rifrangente un raggio di luce sul fronte disegnato Hipgnosis e George Hardie per ‘The dark side of the moon ‘ dei Pink Floyd nel 1973, l’artista inglese Jamie Reid per ‘Never Mind the Bollocks’ dei Sex Pistols nel 1977, Raymond Pettibone per ‘Goo’ dei Sonic Youth nel 1990, l’artista pop surrealista Mark Ryden per ‘Dangerous’ di Michael Jackson nel 1990 il fotografo Kirk Weddle per ‘Nevermind’ dei Nirvana nel 1991, e più recentemente, dal 1998, i lavori di Jamie Hewlett per i Gorillaz. Bei tempi: la copertina era una parte importante della cultura musicale, le grafiche erano dei veri e propri quadri, che potevano essere appesi ad un muro. L’artwork o cover art ha reso celebri alcuni dischi tanto quanto la musica che contenevano. Sicuramente un mezzo per incentivare la vendita, ma soprattutto un’espressione dell’intenzione dell’artista. Sono stati usati fogli di giornale, cartone grezzo, box metallici, ologrammi, copertine forate, copertine poster, chiusure lampo… sono state inserite nel package fotografie, cartoline, gadgets, spille, poster. Insomma, la fantasia ha avuto in questo campo un ampio sfogo.
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