“La Cappelluzza” non è altro che la replica della festa dell’Assunta. In pratica è una piccola festa di quartiere”. Così spiega Giovanni Morreale, musicista e curatore del libretto che raccoglie, per la prima volta, le cinque litanie storiche “a memoria d’uomo”. Il progetto è nato da una collaborazione fra il Centro Diurno San Giuseppe e il Comune di Chiaramonte.
Giovanni Morreale, inoltre, è consigliere comunale con delega al recupero delle tradizioni popolari. Per la prima volta, dunque, vengono messe nero su bianco le litanie popolari (la più famosa è sicuramente quella che si esegue durante i festeggiamenti del SS. Salvatore, ovvero il trittico Litania, Tota Pulchra e Canzoncina) .
I canti, infatti, sono stati trascritti e arrangiati da Morreale: “Sto ultimando le ultime due litanie e poi consegnerò le partiture in biblioteca. Secondo quanto si è potuto ricostruire, i canti risalgono al ‘700 circa”. Ancora oggi, durante la “quindicina di agosto” (ovvero dall’1 al 15 agosto), viene allestita la “cappelluzza” a San Giuseppe e in altri luoghi di Chiaramonte. Giovanni Morreale, a questo proposito, spiega: “Il Centro Diurno quest’anno si è impegnato a restaurare con i proventi del sorteggio, le edicole votive che si trovano nel centro storico di Chiaramonte. La più antica dovrebbe essere quella di via Corallo. Inoltre, per cantare durante la quindicina le litanie, abbiamo costituito un coro all’interno del Centro che è formato da circa 30 persone”.
Il libretto contiene una nota del sindaco Vito Fornaro , dell’assessore ai servizi sociali Salvatore Vargetto e la premessa del curatore, Giovanni Morreale, che si è preoccupato di sottolineare e spiegare quello che era l’aspetto musicale della cappelluzza: “Così la cappelluzza era un momento di preghiera, un momento di canto e un momento (forse il più atteso), per fare i giochi e magari ridere assieme”. E, ancora: “Il rito vero e proprio era suddiviso in due parti: la preghiera e il canto; terminato il S. Rosario, si cantavano le litanie lauretane, quindi vi era un oremus, a seguire il Tota Pulchra, quindi un altro oremus e a finire il canto delle dodici stelle”. Inoltre, continua: “Terminato quello che era il rito religioso, i musicisti continuavano con un mini repertorio di cosiddetti “ballabili”: ovvero liscio, valzer ed altri motivetti per cui si poteva veramente ballare e divertirsi un po’”.
La nota storica, invece, è stata curata dal professor Giuseppe Cultrera, storico di Chiaramonte. Cultrera, spiega che la base della tradizione delle cappelluzze fu probabilmente l’incentivazione delle pratiche devozionali verso la Madonna di Gulfi volute da Padre Antonino Finocchi a partire dal 1713, predicatore gesuita. Tutto, però, cambiò nel dopoguerra: le cappelluzze, infatti, avevano perso l’aspetto originario e andavano assumendo una connotazione di festa pagana, fino a che Monsignor Vito Ventura le proibì. Un tentativo di ripresa fu attuato negli anni ’60, soprattutto nelle zone rurali, ma ebbe breve durata. Oggi, il rito continua ma è più legato all’aspetto religioso: si recita il rosario e si eseguono i canti. A fine serata, viene proposto un sorteggio di prodotti della terra: frutta, ortaggi, olio o al massimo oggettistica.
Con quei proventi, si diceva, quest’anno il Centro Diurno intende promuovere un’opera di restaurazione delle cappelluzze di Chiaramonte.