Da una scuola che fornisce l’integrazione a una scuola che garantisce l’inclusione. Una differenza sostanziale che sta interessando anche l’area iblea. Perché nel primo caso, lo studente deve adattarsi alla realtà scolastica compiendo un proprio percorso seguito da un docente di sostegno se è disabile oppure seguito dalla struttura. Attraverso l’inclusione, invece, è la scuola a doversi modificare organizzativamente e metodologicamente per fare in modo che tutti i ragazzi, con le proprie differenze, trovino un proprio spazio con un adeguato successo formativo in base ai punti di partenza di ciascuno. E’ il messaggio lanciato ieri pomeriggio dalla dirigente dell’Ufficio scolastico provinciale di Ragusa, Giovanna Criscione, che ha partecipato al convegno dal titolo “Bisogni educativi speciali: dalla rilevazione all’intervento” promosso dall’Ati formata dalle cooperative Cos, Vis e Agape che operano in città, patrocinato dall’assessorato comunale ai Servizi sociali e alla Pubblica istruzione, oltre che dell’Ufficio scolastico provinciale, e con il contributo dell’Ordine degli psicologi della Regione Siciliana. A portare i saluti istituzionali l’assessore ai Servizi sociali del Comune di Ragusa, Salvatore Martorana, e il presidente del Consiglio comunale, Giovanni Iacono. Numerosi i partecipanti, provenienti anche dalle province limitrofe. “La scuola – ha aggiunto Criscione – è chiamata ad attrezzarsi predisponendo un piano annuale per l’inclusione in cui troveranno spazio le strategie per questi ragazzini senza certificazione, vale a dire i Bes in genere. A identificarli il Consiglio di classe o il team dei docenti che, prendendo atto di bisogni particolari, predisporranno un Piano didattico personalizzato. Sta cambiando, quindi, l’approccio”.
Beatrice Lauretta, dirigente scolastico e coordinatrice del Centro territoriale di supporto, operativo a livello provinciale, istituito nel 2006, con sede nell’istituto Cesare Battisti, ha chiarito che il Cts, con il tempo, ha assunto un ruolo molto importante come interfaccia tra Amministrazione e le scuole per l’innovazione e la sperimentazione. “Stiamo conducendo una rilevazione – ha aggiunto – perché, non esistendo dati ufficiali, ci consentirà di avere a disposizione delle cifre sul numero di Bes presenti nella nostra realtà già nel mese di gennaio”. Numeri, quindi, tutti da valutare. Anche se lo psicologo Gianluca Lo Presti, esperto in psicopatologia dell’apprendimento, ha chiarito che, a livello nazionale, la popolazione in età pediatrica con disturbi legati all’apprendimento ammonta al 2-3%. “Dislessia, disortografia, discalculia e disgrafia – ha sottolineato – rientrano nei Bisogni educativi speciali. Ho spiegato come si fanno a identificare dal punto di vista tecnico e quali sono i risvolti emotivi dei ragazzini con il problema. Pur avendo una intelligenza nella norma, questi soggetti manifestano forti difficoltà negli apprendimenti di base: lettura, ortografia e calcolo. Occorre fare in modo che le normative esistenti trovino la massima applicazione”. Lo psicologo-psicoterapeuta Cesare Ammendola, che ha moderato i lavori, ha chiarito che “è dal 2012 che si parla di Bes ma di fatto sono sempre esistiti. E’ stata garantita, però, adesso, una cornice giuridica al fenomeno. Gli insegnanti, infatti, sono autorizzati a questo trattamento differenziato con una personalizzazione dell’accentuazione degli interventi che prima non era prevista. Ecco perché l’appuntamento che abbiamo promosso è servito a gettare una ulteriore luce su questa tematica che comunque resta ancora complessa”.
Infine, lo psicologo-psicoterapeuta Antonino Marù, presidente della cooperativa Cos, ha sottolineato come i ragazzi costruiscono la loro identità. “Iniziano a farlo a casa – ha messo in rilievo – attraverso quelle che sono le ingiunzioni educative, le rappresentazioni del mondo che forniscono i genitori e poi, sulla scorta di come gli stessi genitori ci trattano, abbiamo le controingiunzioni, cioè come decidiamo di essere nei vari contesti. Tutto ciò serve a scrivere il patto che noi facciamo con noi stessi, il libro bianco della vita. In particolare, nei vari capitoli scriviamo le varie identità”. Marù ha poi illustrato, da un punto di vista storico, cosa hanno rappresentato i ragazzi nella testa dei genitori. “Nel dopoguerra – ha detto – i figli erano ritenuti quasi esclusivamente forza lavoro, nella società moderna i figli dovevano essere ubbidienti perché dall’ubbidienza, dalla correttezza morale derivava la famiglia sana. Nella società postmoderna, invece, abbiamo il mito del figlio prezioso che non deve fare nulla per ricevere l’affetto e l’attenzione dei genitori. Il figlio prezioso viene accuratamente protetto dall’entrata in contatto con le situazioni difficili della vita, il dolore e la sofferenza. Questa protezione impedisce ai ragazzi di sviluppare il radicamento di loro stessi, impedisce di conoscere il loro valore. Sono figli che hanno sempre un alibi per non essere responsabili di loro stessi. I genitori che vengono a scuola a contestare l’operato dell’insegnante, a difendere la verità vera che è sempre quella dei figli e non quella del docente, fanno crescere i ragazzi con un vuoto. Del resto, sono i ragazzi dell’era digitale, tecnologicamente avanzati ma da un punto di vista emotivo assolutamente carenti”.
(nella foto in piedi da sinistra Martorana, Ammendola, La Cognata, Marù, Criscione, Lauretta e Iacono)