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Home Politica

“Non abbiamo bisogno di un tumore per amare la vita”. La storia del ragusano Andrea Caschetto

by Federica Savasta
29 Ottobre 2018
in Politica
“Non abbiamo bisogno di un tumore per amare la vita”. La storia del ragusano Andrea Caschetto
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Andrea è un ragazzo di 24 anni, ragusano che dopo una malattia ha deciso di fare il giro del mondo per gli orfanotrofi. Il suo messaggio è riuscito a portarlo pure in conferenza all’Onu . Ha commosso l’intera platea che lo ha accolto con una standing ovation.

Oggi racconteremo la storia di Andrea attraverso le sue stesse parole ma il nostro obiettivo è quello di seguirlo durante i suoi viaggi, carichi di vita , di speranza e di sorrisi.

La comunicazione non può essere solo cronaca fatta di delitti e brutte notizie, perché la vita non è solo quello, la vita è fatta anche da persone come Andrea che sono un esempio di come si può essere felici amando prima se stessi e poi gli altri.

La parola ad Andrea…

“Andrea, hai un tumore nel cervello. Quando sentii quella frase, non ebbi paura. Forse perché avevo solo 15 anni, forse perché avevo la testa altrove. Scappai di notte dal mio reparto con il camice bianco per andare in una sala a guardare una partita di calcio in televisione, era quella la mia unica paura, il risultato di una partita. Quella notte fu la mia ultima notte piena di ricordi.
Dieci anni fa, esattamente in questo istante, Francesco Dimeco con la sua equipe mi stavano operando al Besta di Milano. L’operazione era difficile, rischiavo di perdere la parola o qualcosa in più. Ma il medico è stato un fenomeno. Ebbi un solo fastidio nel tempo di attesa dovuto a questa operazione, la data. Il 2 Nnvembre? Mi chiedevo scherzando, perché mi avessero messo in questa data che puzzava di morte. Fra gli amici e i parenti ero l’unico che ci ridevo su. Mi misero sotto i ferri. Il risveglio è stato più difficile del previsto, avevo la difficoltà nell’esprimermi, nel mandare segnali di comprensione. Iniziai a farmi portare per quell’ospedale sulla sedia a rotelle, poi anche in città. Le persone mi fissavano, ma quando muovevo la testa per guardarle, automaticamente toglievano lo sguardo. Prima dell’operazione non studiavo mai e avevo voti altissimi. Seguivo per bene le lezioni e non avevo bisogno di fare esercizi a casa. Dopo mi ritrovai smemorato e con una concentrazione pessima, non memorizzavo più niente. Il cortisone mi fece diventare un cocomero e mi ritrovai ad essere senza pretendenti. Tutte le ragazze che mi corteggiavano in precedenza mi dicevano che ero bello per il carattere, ma dopo l’operazione galvanizzarono nel nulla. Andai tutti i giorni a fare lezioni private di tutte le materie, i dati che mi spiegavano morivano la sera con il mio sonno. Notti che da allora passo senza sogni, o forse, dimentico anche loro. Persi quell’anno scolastico, perché i professori pensarono che me ne volessi approfittare, che la mia memoria era una scusa perché mi seccava studiare, chiamarono la mia operazione all’emisfero sinistro, un piccolo interventuccio. Il 2 novembre che data, a tutti rappresenta la morte e a me, la vita. Tutti iniziarono a chiamarmi memoria zero, adoravo quel soprannome. Ogni cosa triste, veniva dimenticata. Fu straordinario come in quell’estate, vari professori del liceo di altri corsi, mi contattarono, invitandomi a ripartire con loro. Che avremmo trovato insieme un metodo per non farmi vedere lo studio, impossibile. Così feci, cambiai corso e iniziai a svolgere le interrogazioni a piccole dosi e i compiti con le formule davanti. I nuovi professori mi volevano bene. Pian piano svanì il mio sogno di diventare magistrato per combattere contro la mafia, perché fare giurisprudenza in questo modo non era la soluzione ideale. 4 anni dopo andai in Africa per la prima volta. Al mio ritorno in Sicilia ero sorpreso, mi ricordavo tutti i volti dei bambini, le attività che avevamo fatto, le emozioni provate. Così ho iniziato a chiedermi il perché di questi ricordi. Ho scoperto grazie a Gianni Golfera, che tutto ciò che colpisce i nostri sentimenti rimane per sempre nella memoria a lungo termine. Così ho iniziato a memorizzare con le emozioni e le immagini. Con questo metodo ho preso una laurea e un master e ho recuperato una buona parte della memoria. Ancora oggi affronto le mie giornate così. Ormai i controlli sono più una scusa per incontrare il mio neurologo, caro amico Giuseppe Didato, perché sono sicuro che non avrò più niente e se lo dovessi riavere, lo riaffronterei con la stessa tranquillità. Anche per questo motivo ho deciso di fare questo viaggio, il giro del mondo per gli orfanotrofi. Per ricordarmelo per sempre. Ancora oggi ci sono città del mio viaggio che non mi ricordo come si chiamano, ma pazienza, l’importante è ricordarsi come fare ridere e divertire i bambini. Quindi avete capito perché questo nuovo look? Per mettere alla luce del sole la mia bianca cicatrice. Per festeggiare con lei e con i miei piccoli amori il mio vero compleanno, 10 anni di piena vita. E poi un messaggio per tutti voi, non avete bisogno di un tumore per amare qualcosa che possiamo perdere ogni giorno. Affrontate le vostre giornate ringraziando la vita. Solo così tutti i vostri problemi, non saranno solo tali, ma saranno delle piccole situazioni da trasformare in positività nel miglior tempo possibile. Grazie a mia mamma che non ha avuto bisogno della mia operazione per capire l’importanza che avessi per lei. Grazie per chi condividerà la storia e mi aiuterà a diffondere il mio progetto”.

Nel prossimo articolo dedicato ad Andrea parleremo direttamente con lui di vecchi e nuovi progetti ma sopratutto ci faremo raccontare l’emozione che ha provato alla conferenza presso l’Onu, pubblicando anche il video del suo discorso.

Aiutiamo Andrea e cicatrice a diffondere il suo messaggio!

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Tags: Andrea CaschettoOrfanotrofiRagusa
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