Con la tavola sotto i piedi, li riconosci subito: in comune hanno quella condizione esistenziale che sfrutta i paesaggi urbani per mutarli in base di aggregazione e contesti creativi; vedono la città con prospettive diverse. Gradoni, rampe, ringhiere e muretti, per loro sono il valore aggiunto di strade e piazze. Limiti gravitazionali fatti apposta per essere superati.
Stiamo parlando della “Gomez Crew”, vedi alla voce skateboard, il surf in strada per intenderci. Sono un gruppo di skaters nato a Ragusa circa cinque anni fa: indossano felpe e pantaloni larghi, scarpe da ginnastica con suole di gomma che aderiscono bene alla tavola e portano quasi sempre cappelli con la visiera. Ed alla tavola si uniscono sempre graffiti ed hip- hop.
Non sono manovali e nemmeno muratori, sono fisioterapisti, camerieri, barman, studenti, insegnanti e produttori. Eppure, ogni giorno, per svariati mesi, sotto un sole cocente ed anche quando il sole non c’è più, si sono armati di guanti, rastrelli, sacchi per raccogliere i rifiuti e si sono messi al lavoro, bonificando l’area, disboscandola, tagliando l’erba e adeguando la pavimentazione per renderla fruibile. A spese proprie, senza un minimo di lamento o segno di cedimento. “Abbiamo strappato questo luogo all’abbandono” – raccontano i ragazzi.
Ora sognano di trasformare questa piazza abbandonata in un vero e proprio skate park che diventi un centro di aggregazione giovanile, per divertirsi insieme lontani dalla strada. “Ci siamo conosciuti tutti attraverso una passione – ci racconta Marco – perché in verità lo skate è un’opportunità per socializzare, dopo una giornata lavorativa riesci a lasciarti tutto alle spalle, non ci sono regole, non ci sono voti, non c’è insuccesso né passività, non c’è ansia da prestazione (forse giusto un po’, sorride), solo creatività e divertimento”.
“Passi la maggior parte della tua vita sopra una tavola – continua Andrea – vedi le cose in modo diverso”. Dunque, un sentimento che solo gli skaters possono provare e che provoca delle reazioni da parte delle “persone normali” che non possono capire.
“In qualunque posto tu ti trovi – sorride Giuseppe- prendi il tuo skate e hai subito qualcosa in comune. Viene naturale, è una questione di feeling che è propria agli skater”. “Poter contare su uno skate park ben fatto sarebbe un sogno – aggiunge Matteo – Tanti sono abituati a veder praticare soltanto discipline ben note come il calcio o il basket, lo skate invece va al di là degli sport tradizionalmente intesi”.
“Qualcosa si sta muovendo ed anche il comune si è interessato – continua Marco – ma purtroppo ancora non basta. Stiamo pensando di far partire una raccolta fondi dal basso giusto per raccogliere una cifra e poterla reinvestire nel posto”.
“Credere in qualcosa fa bene – aggiunge Enrico – fa sentire vivi e se come te c’è gente che ritieni esser parte della tua famiglia si viene a creare quella passione in grado di far portare avanti un progetto complicato e laborioso con la più totale armonia e spensieratezza”.
Lo skate è una seconda famiglia. Per considerare lo skate come una subcultura, bisogna viverlo. E’ una cosa che si deve provare, più che raccontare (le foto sono di Marzia Trovato, l’illustrazione che si trova nella piazzetta è stata realizzata da Antonio Sortino).