Il non partito colpisce ancora. Tutti bravi, i militanti dei Cinque Stelle, quando si tratta di mandare a quel Paese. Non distinguendo tra poveri e ricchi, forti e deboli, tra semplici religiosi e porporati. Basta che abbiano fatto parte del sistema. Quindi? Tutti a casa. E, proprio restando nell’ambito ecclesiastico, l’ultimo esempio è quello che tiene banco. Il fatto è noto. Il consigliere comunale di Ragusa, Dario Gulino, domenica mattina non trova di meglio da fare se non pubblicare un post su Facebook in cui si scaglia contro la Diocesi locale per un protocollo, quello legato alla fruizione turistica degli edifici di culto, che costa al Comune qualcosa come 50mila euro all’anno. Un vero e proprio “pizzo” da pagare alla mafia, sottolinea Gulino. Apriti cielo. Le reazioni non si contano. Tra chi dice bravo e chi, invece, reagisce con un prosaico “E’ inaudito, mai sentite frasi del genere da un rappresentante delle istituzioni”.
Dalle parti della Chiesa una presa di posizione ufficiale arriva solo lunedì in serata, sebbene qualcuno tra i sacerdoti non abbia gradito le modalità dell’accusa (“Ognuno è libero di pensare ciò che vuole ma bisogna valutare il modo in cui si dicono certe cose” dirà il parroco della chiesa cittadina canonicamente più importante), con una nota del direttore dell’ufficio diocesano per i Beni culturali, don Peppino Antoci, in cui si chiarisce che per ora nessun protocollo è stato firmato e che il Comune, se non vuole, non è mica costretto a sborsare questi soldi visto che la Diocesi mette a disposizione i propri beni storico-artistici per finalità legate alla crescita economica del territorio.
Dal sindaco Federico Piccitto, finora, nessun intervento. Qualcuno gli avrà riferito di quello che sta accadendo nella sua città? Di come questa vicenda stia riempiendo d’inchiostro pagine e pagine di giornali? Forse. Ma al di là del merito, è, more solito, il metodo che i pentastellati non riescono proprio ad adottare nella maniera più adeguata. A Roma, come a Palermo, o Ragusa, l’importante è “vaffanculizzare” un po’ tutti. La bandiera del “mandiamoli tutti a casa” li unisce. Quando, però, si tratta di governare, a Roma, come a Palermo, o Ragusa, diventa un po’ più difficile evitare l’insorgere di coscienze critiche (il sale della democrazia?). Per cui se Piccitto decide di firmare il protocollo, può essere che un Gulino qualsiasi alzi la mano e affermi a spada tratta: “Ma che cazzo stai facendo? Non lo vedi che è tutto sbagliato?”.
Questo per dire che, nel giro di pochi anni, i Cinque Stelle hanno imbarcato tutti i pregi, e soprattutto i difetti, dei partiti di una democrazia malata. Sono loro il nuovo? Finora, quando hanno avuto la possibilità di governare, hanno dimostrato di farlo esattamente come i predecessori. Nessuno si scandalizzi. Non stiamo dicendo che sono peggiori o migliori. Sono esattamente espressione del sistema. E non serve a niente gridar non è vero. Forse Grillo, più di altri, ha capito che la democrazia è malata. Per cui risolve il tutto in maniera non democratica (il caso della candidata a sindaco di Genova, a tal riguardo, è sintomatico). Ma non c’è il rischio che derive del genere possano traghettarci verso lidi sconosciuti e assolutamente da evitare? Qualcuno obietterà: “Tanto, peggio di così…”. Giusto. Ma se non riuscissimo neppure ad esprimerlo, il nostro dissenso? Se non riuscissimo, per quanto malata, ad esercitare sino in fondo la nostra democrazia? Speriamo di sbagliarci. Ma intanto riflettiamoci su.