Tra le voci principali della manovra finanziaria 2018 un’attenzione particolare è stata riservata alle politiche a favore delle nuove assunzioni. La manovra conferma infatti che, a decorrere dal primo gennaio 2018, i datori di lavoro del settore privato che assumano giovani con contratti a tutele crescenti beneficeranno di uno sconto triennale sui contributi previdenziali pari a 50% (esclusi i lavoratori domestici), per il sud il 100%.
L’esonero spetta anche per le assunzioni avvenute nei mesi di novembre e dicembre 2017, fermo restando la decorrenza dal primo gennaio 2018.
Lo sconto contributivo si applica anche nei casi di prosecuzione di un contratto di apprendistato in contratto a tempo indeterminato, qualunque sia l’età anagrafica al momento della prosecuzione e quando un datore di lavoro assume, entro sei mesi dal conseguimento del titolo di studio, studenti cha abbiano svolto percorsi di alternanza scuola-lavoro o di apprendistato per il conseguimento del titolo di studio.
“Bene la riconferma degli sgravi contributivi per gli imprenditori che assumono – dichiara Salvatore Scannavino, componente della segreteria territoriale della Fisascat-Cisl – ma non basta. Ciò che oggi ci preoccupa come sindacato a tutela dei dipendenti e degli imprenditori è la mancanza di una normativa che incentivi le aziende a mantenere, a seguito dei tre anni sostenuti dagli sgravi contributivi, il personale assunto. Tre anni sono tanti e influenzano qualsiasi imprenditore che investe tempo e impegno per formare e inserire in aziende nuove unità. Al termine dei tre anni, però, il lavoratore torna ad essere un costo esagerato, bloccando di conseguenza quel circolo virtuoso avviato dalla normativa incentivante. L’interruzione diviene fattore ancora più traumatico per il datore di lavoro che si trova a dover affrontare delle spese esorbitanti”.
“Necessitiamo quindi – continua Scannavino – di una revisione della norma che permetta una continuità progressiva di inserimento, senza interruzioni nette”.
“Altro punto – conclude il segretario – che purtroppo non viene preso in considerazione, ma di fondamentale importanza, è l’assenza di una normativa chiara sui cambi appalto in merito alla continuità occupazionale. Parlo di appalti di servizi, esempio, in primis, quello delle pulizie degli enti pubblici: dall’ospedale al tribunale, passando per gli innumerevoli uffici comunali, le poste e via dicendo. I contratti nazionali inerenti l’erogazione di servizi hanno sì un riferimento nei casi di cambio appalto ma di fatto la normativa è sempre più debole. Oggi abbiamo bisogno di una scelta politica da parte delle istituzioni che punti a garantire la tutela occupazionale, che di fatto una volta era più forte e che oggi seguendo il diritto comunitario europeo viene a mancare. Basti pensare che la dicitura prevista nei capitolati è la seguente “i lavoratori devono essere riassunti a condizione che siano armonizzabili con…”. La stessa locuzione: “a condizione che” porta, così, a infinite possibilità di interpretazione che non tutelano i dipendenti”.
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