‘Caro Tonino, apprezzo la lettera aperta con la quale poni nella discussione pubblica e democratica il tema del governo della città di Ragusa e della selezione delle candidature a Sindaco e colgo la tua positiva preoccupazione di offrire alla città un programma amministrativo e una leadership in grado di competere adeguatamente alle prossime amministrative’.
Risponde cosé Giorgio Massari a Tonino Solarino che, quasi indignato, aveva richiesto fortemente la celebrazione di primarie nell’area del centro sinistra per evitare la rottura ovvero la frammentazione di candidature.
Ed era andato ben oltre Tonino Solarino, ammonendo i partecipanti, ovvero gli interessati, che non avrebbe avuto il suo consenso chi si fosse macchiato della rottura, ovvero chi si fosse intestardito a candidarsi con il precipuo intento di rompere il fronte ed avvantaggiare, di fatto, gli avversari.
Non A? un caso che, a volte, si va d’accordo con i propri avversari politici, più che con i compagni di partito.
Ricordo le diatribe di Massari e D’Asta, e nel contempo ricordo come entrambi parlavano e si intendevano meglio con quelli che di fatto dovevano essere i loro avversari politici, ovvero persone poste su fronti opposti.
La strada verso il bene comune, che dovrebbe essere ‘rivestita’ dalla politica è una strada irta e molto insidiosa. Qui, invece, ad essere ‘asfaltata’ A? proprio la politica.
A leggere tra le righe della risposta di Massari, si legge che, prima di rompere qualcosa, occorrerebbe ‘creare qualcosa, costruire un soggetto politico collettivo, ovvero un’area di riferimento.’
Tant’A? che Massari la butta sul confronto programmatico, sulle idee, sulla necessità di un confronto che non parta dai numeri ma dai programmi e dal modo di vedere le cose.
Insomma dice Massari facciamo la casa e, semmai, dopo stabiliamo chi deve fare il capo famiglia.
A me pare che, di fatto, il centro sinistra non esiste come luogo della politica italiana e soprattutto siciliana. Non esiste neppure come proposta politica.
Esiste, per caritA?, una proposta politica, organica, ben fatta, e ritengo anche molto responsabile che promana dal PD. Questo A? un partito che ha subito una genesi molto interessante.
Nel corso di questi anni si sono affermati dirigenti politici moderati, afferenti ad una area di democratici all’americana, e sono andati via i dirigenti della sinistra, di quella sinistra post comunista buona solo a promettere e protestare, a fare testimonianza, ma non certo a prendersi la responsabilità di governare.
E perè il Pd, tutto preso dalle sue dinamiche interne, non ha inteso costruire un’area di riferimento: se esiste una destra populista ed esiste una sinistra populista, rappresentata dai fuggitivi, l’unico spazio politico residuo A? quello del centro moderato e progressista.
Questo oggi è il PD. è il partito che non è riuscito a creare il mio amico Casini, con D’Alia, è il partito che non ha saputo governare il giovane Letta.
Non esiste dunque un’area, perché non c’A? alcun bisogno di avere un’area di riferimento, esiste il PD che A? di suo un grande soggetto popolare moderato e progressista, erede della grande tradizione moderata e progressista italiana.
Nel governo delle città ci sono invece le esperienze civiche che nascono dai localismi e che A? difficile mettere insieme e dare loro una etichetta politica ben precisa.
Massari non accetta di fare le primarie, non solo perché teme l’organizzazione bulgara del PD ragusano, che ha ancora una forte vocazione militare, ma perché non ha alcuna base programmatica da socializzare con questo partito, non vuole questa etichetta politica e vuole restare un candidato civico.
Egli non è più un esponente di partito, ma un esponente di un gruppo di liste civiche. Sbaglia ? Lo diranno gli elettori. Il PD invece ha un altro problema.
Ovviamente ci sono conti da pagare, bollette da saldare, ma occorre rendersi conto che, se si vuole interpretare appieno il ruolo che la storia politica italiana sta consegnando a questo soggetto politico, bisogna avere la capacitA? di farlo fino in fondo, con la pazienza e soprattutto con la voglia di fare investimenti nuovi importanti.
Di contro c’è il rischio che si pagheranno i debiti con il passato, ma si va a perdere. Dunque, aumentare la capacitA? di ascolto, e soprattutto di confronto con il cittadino può servire per capire.
Se io fossi il segretario provinciale del PD disporrei di fare comunque le primarie, anche con un solo nome per comprendere, come se fosse un referendum, da che parte spira il vento.
Un successo delle primarie lancerebbe il candidato unico verso un percorso distensivo; una partecipazione striminzita e superficiale porrebbe al centro del tavolo politico del gruppo dirigente del PD l’ipotesi concreta di una devoluzione della candidatura, a favore di qualche candidato civico, ad esempio.
Cari amici, vi scrivo pure io’