Quando la rubrica “Ritratto Sociale” è stata creata venne spiegato che nei suoi contenuti ci sarebbe stato spazio per le riflessioni, testi in prosa, confronti con il lettore. Ebbene, dopo aver scandagliato miriadi di temi in lista da trattare, sono giunta alla conclusione che Oggi non può esserci un solo tema, non può esserci un’ analisi più o meno razionale bensì uno scambio di emozioni, pensieri, e forse anche un po’ un modo per non sentirsi soli in tanti dolori. Mi guardo intorno e come tutti voi mi chiedo “Cosa succede?Cosa ci succede?”, la natura è in rivolta, e ci facciamo male. L’ uomo è in rivolta, ma contro chi? Contro se stesso, contro la società in cui egli ha deciso di vivere e spesso anche di costruire. Nel giro di pochi giorni abbiamo appreso che un uomo, non sopportando la separazione dalla moglie, ha deciso di uccidere lei, la suocera, i suoi due figli e se stesso. Ed a questa atroce vicenda è sopravvissuta la figlia maggiore, ma di soli 11 anni che adesso si ritrova sola al mondo. Sola in questo mondo. Abbiamo appreso che un padre, con divieto di avvicinamento, è riuscito ad uccidere il figlio di soli 10 anni, che fidandosi di lui, da bambino amorevole, gli ha aperto la porta di casa. In questi giorni la nostra Sicilia è stata devastata dalla forza della Natura, forse estenuata dal non rispetto che le abbiamo riservato in questi anni… e tante anime innocenti hanno perso la vita o ciò che avevano costruito nel percorso della propria vita. In questi giorni mi guardo intorno e vedo occhi persi -compresi i miei- spuntare dal confine che ci separa dalla mascherina, che cercano un punto sicuro, volti amici, nuove speranze. Ma poi scappiamo via, perchè abbiamo paura che se ci avviciniamo saremo contagiati, feriti, presi in giro, perchè non ci conosciamo più ed è difficile fidarsi di anime confuse e vaganti. Abbiamo paura, non sappiamo se ciò che abbiamo fatto sia giusto, non sappiamo che scelte fare nell’ imminente futuro, ci chiediamo se chi ci governa scelga per noi le strade migliori. Ci hanno divisi, ci hanno resi individualisti, egoisti, giudicanti, impauriti, insensibili o talmente sofferenti da non voler guardare all’ altro. Ci hanno resi ipocondriaci, rabbiosi, fragili, costretti a chiuderci in un bozzolo in cui niente e nessuno può farci male. Ma questa assenza di sentimenti positivi genera ancor di più il caos, genera distanza… è come se stessimo lottando per la sopravvivenza, per assicurarci un posto in una casa calda avendo il cuore freddo. Vedo le farmacie prese d’ assalto, come negozi di giocattoli a Natale, vedo gli occhi alle lacrime nel guardare i telegiornali. E allo stesso tempo assistiamo al menefreghismo, a chi decide di seguire la strada dell’ Anti-Sociale, forse anch’ essa una difesa: fingere che nulla stia accadendo per non soffrire e lasciare che ogni cosa faccia il suo corso.
In tutto ciò ci rivedo un personaggio che mi ha accompagnato nel mio percorso di crescita: Novecento, il pianista nato su una nave dalla quale non è mai sceso, e sapete perchè? Perchè aveva paura del mondo lì fuori, perché ci sarebbero state troppe scelte da fare, troppe strade da valutare. Lui aveva paura dell’ infinito, aveva paura di ciò che non poteva vedere, così preferiva stare sulla cabina di una nave a comporre melodie infinite in 88 tasti di un pianoforte. Ho voluto approfondire il pensiero psicologico di Novecento, e mi sono imbattuta nel “Il concetto dell’ angoscia” di Kierkegaard, in cui il filosofo espone uno dei sentimenti più misteriosi dell’ animo, e che si rifà perfettamente al nostro attuale stato emotivo ed al già citato personaggio Novecento di Alessandro Baricco, il quale aveva la tremenda paura di scendere dalla nave in cui aveva abitato da sempre. E’ la paura dell’ ignoto, di ciò che non si vede. Un sentimento che si scatena quando l’ io dell’ uomo si mette in rapporto con il mondo e diventa cosciente delle possibilità, sopratutto quando queste appaiono difficili.
Sapere che qualsiasi scelta verrà fatta non ci darà certezza su cosa accadrà creando una vera e propria Vertigine, senso di vuoto, angoscia.
E Novecento, decidendo di rimanere sulla nave, come stiamo facendo noi, fugge da questa angoscia riparandosi nelle sue uniche sicurezze: i posti sulla nave da lui conosciuti, -come per noi le nostre case-
la sua musica, -come per noi il lavoro o qualche passione- immaginando l’ amore piuttosto che viverlo, proprio come facciamo noi. E qual è la soluzione a tutto questo? Io chiaramente non lo so, cerco solo di scrivere, di spiegare mondi a volte sconosciuti, di emozionarmi sperando di emozionare pure il lettore, cercando di creare ponti ed empatia. Ma su questo, come tutti, sono un po’ Novecento. Non ho risposte. Per cui vi scrivo la soluzione che secondo Kierkegaard può fronteggiare l’ angoscia: la Fede, l’ affidarsi a Dio, che tutto può, lasciandosi guidare da lui attraverso l’ esistenza.
“Tutta quella città…non se ne vedeva la fine…
La fine, per cortesia, si potrebbe vedere la fine?/ E il rumore/ su quella maledettissima scaletta…era molto bello, tutto…e io ero grande con quel cappotto, facevo il mio figurone, e non avevo dubbi, era garantito che sarei sceso, non c’ era problema.
Primo gradino, secondo gradino, terzo gradino/
Primo gradino, secondo gradino, terzo gradino/
Primo gradino, secondo/
Non è quel che vidi che mi fermò
è quel che NON vidi/
Puoi capirlo, fratello? è quel che non vidi…lo cercai ma non c’ era, in tutta quella sterminata città c’ era tutto/
c’ era tutto/
ma non c’ era una fine. Quel che non vidi è dove finiva tutto quello.
Ora tu pensa: un pianoforte. I tasti iniziano. I tasti finiscono. Tu sai che sono 88, su questo nessuno può fregarti. Non sono infiniti, loro. TU sei infinito, e dentro quei tasti è infinita la musica che puoi fare. LORO sono 88. TU sei infinito. Questo a me piace, questo lo si può vivere. Ma se tu/
Ma se io salgo su quella scaletta e davanti a me si srotola una tastiera di milioni di tasti, milioni e miliardi, che non finiscono mai
e questa è la verità, che non finiscono mai e quella tastiera è infinita/
Se quella tastiera è infinita, allora/
Su quella tastiera non c’ è musica che puoi suonare. Ti sei seduto sul seggiolino sbagliato: quello è il pianoforte su cui suona Dio.
[…] Non avete mai paura, voi, di finire in mille pezzi solo a pensarla quell’ enormità, solo a pensarla?”
-Tratto dal libro Novecento di Alessandro Baricco.