Tra i candidati di Ragusa Prossima a sostegno di Peppe Cassì Sindaco spiccano le figure di donne impegnate nel sociale ed in città.
È la volta di Paola Schininà, architetto, progettista per la rimozione delle barriere fisiche, cognitive e sensoriali dei musei e luoghi della cultura pubblici (PNRR), esperto del sindaco Cassì in materia ecomuseale, coordinatore dell’ecomuseo CARAT del Comune di Ragusa (2019/2022), progettista e direttore dei lavori per la realizzazione degli orti urbani nella Vallata S. Domenica e degli interventi di ripristino dei percorsi della stessa. Progettista e direttore dei lavori della chiesa della Ss.ma Annunziata (Rg) e degli interventi di restauro del parco del Castello di Donnafugata.
I suoi lavori (in particolare per il Castello di Donnafugata, per l’Ecomuseo e per la Vallata S. Domenica), sono un esempio della città che vorrebbe. Ha detto di Sì a Ragusa Prossima e si candida per promuovere la valorizzazione del patrimonio locale ed il recupero urbanistico della città.
Ospitiamo un suo intervento.
Il mutare della città obbliga le amministrazioni e chi governa il territorio a dotarsi di strumenti più appropriati per risolvere le problematiche che la città manifesta. La natura complessa di tali problematiche fa sì che si cerchino risposte più contemporanee non corrispondenti ai tradizionali strumenti di pianificazione.
Le città e, in particolare, i centri storici chiedono sempre maggiore vivibilità, la fruizione degli spazi pubblici e la partecipazione degli abitanti ai processi di riqualificazione e di trasformazione urbana.
Le città, infatti, mutano dal punto di vista fisico, economico, sociale: diminuiscono gli abitanti in centro storico con un progressivo aumento della popolazione nelle periferie e si dissolvono i confini, dando alla città una geometria variabile; cambia il modo di produrre, ciò che si produce e i luoghi di produzione; le fabbriche vengono dismesse e si creano “vuoti”; aumentano e si diversificano le popolazioni, gli attori, le interazioni.
Questi cambiamenti generano mutamenti anche nell’arte che si evolve verso un uso partecipato ed emozionale che spinge l’artista ad uscire dallo spazio chiuso delle gallerie e dei musei per arrivare nelle piazze, nei giardini, nelle fabbriche dismesse, nei luoghi pubblici, ad intervenire nel dibattito sulla città per lavorare affianco al progettista. Gli artisti fanno dell’ambiente urbano non più uno sfondo, ma l’oggetto dell’opera d’arte stessa, trasformano lo spazio pubblico, intercettano desideri e problemi degli abitanti, creano relazioni tra attori pubblici, committenti, istituzioni, abitanti, portano le istanze dei cittadini al tavolo delle decisioni, allargano il campo delle expertise coinvolte nei progetti arte sociale, con diverso modo di fare arte nello spazio pubblico che parte dalle istanze e dalle esigenze di chi abita la città.
La capacità di “fare città” di alcuni progetti d’arte sta nel provare a ricostruire relazioni all’interno di un quartiere, di restituire anche se con azioni puntuali e simboliche alcuni servizi, di riuscire a ricreare il dialogo di alcuni quartieri con il resto della città, di provare anche a farsi sì che, che si inneschino degli scambi e si attivino dei processi virtuosi.
Come per gli ecomusei, anche per l’arte in genere, si è sviluppato, in diverse realtà europee e italiane, un processo partecipativo di grande respiro che è riuscito a valorizzare e far rivivere l’identità dei luoghi e delle comunità che li abitano, proponendo percorsi delle memorie storiche e sociali della città per recuperare aree degradate del tessuto urbano. esistono innumerevoli progetti in corso che portano l’arte nello spazio pubblico, per rigenerare, riqualificare, riappropriarsi del territorio e creare senso di comunità
In Italia gli esempi più significativi sono: “Mondolfo galleria senza soffitto”, un progetto di arte urbana permanente, un organismo in continua evoluzione, che si svilupperà e arricchirà nel corso degli anni in tutto il territorio di Mondolfo, in collaborazione con l’Amministrazione Comunale, valorizzando sia le strutture culturali già esistenti, come i musei comunali, la Biblioteca, il centro d’informazione di Villa Valentina, che gli spazi e gli edifici pubblici, tra strade, muri, marciapiedi e stazioni, allestendo anche dei luoghi espressamente dedicati; Faenza con il “distretto creativo evoluto” che si distingue dagli altri interventi di riqualificazione urbana, poiché non individua un ambito di intervento specifico ma delle strategie, affermando che lo sviluppo del turismo culturale è la conseguenza, e non la causa, dello sviluppo locale culturale. In particolare, le linee guida del distretto culturale sono: la valorizzazione dell’identità culturale della città; la città dotata di un’offerta di qualità che ne migliora l’immagine; una programmazione culturale che promuova la partecipazione dei cittadini; il sostegno e la promozione della produzione artistica; l’accesso alla cultura, dal punto di vista fisico, intellettuale, emozionale, e l’integrazione sociale per i bambini, i giovani, gli anziani, i disabili e gli immigrati; una leadership condivisa, responsabilità degli attori e cooperazione tra pubblico e privato, e la riconversione culturale degli spazi.
In Europa mi piace ricordare il progetto “Precare” dell’associazione belga Citymine(d) un progetto di riuso temporaneo di edifici dismessi. L’associazione, quale mediatore tra proprietari di edifici temporaneamente vuoti e artisti, associazioni legate alla cultura e alla creatività, società giovani alla ricerca di spazi di lavoro, dà risposta ad una domanda sempre più urgente di luoghi a basso costo dove svolgere le attività associative/lavorative e fa sì che un patrimonio di edifici dismessi non si deteriori e non resti inutilizzato per lungo tempo provocando un effetto di svuotamento culturale.
Bibliografia
“Fare città, chiamarla arte. Politiche ed esperienze di integrazione tra arte e territorio”, dissertazione finale del Dottorato di Ricerca in Pianificazione Urbana, Territoriale e Ambientale – XXI Ciclo, Politecnico di Milano