Matisse, che dal 1894 si rivolge alla scultura per ritrovare il piacere di percepire il volume nelle sue opere, volume che in pittura ha sacrificato alla modernità è come «Anteo che, per recuperare energia, doveva riprendere continuamente contatto con la Terra» (1), anche lui ha la necessità di riprendere contatto con la realtà materiale, per alimentare la visione e per ritrovare il piacere del tatto.
Scrive: «…palpavo il corpo, mi riempivo le mani di quelle forme e poi trasmettevo in Terra l’equivalente della mia sensazione» (2).
Matisse però fa la scultura da pittore, come chi, cioè, non è più influenzato dal mito pigmalionico, come chi ha perso quella innocenza, «l’abisso che separa la sua scultura “da pittore” da quella “da scultore” è di nutrire per questa ultima lo stesso interesse venato di nostalgia di chi sia stato cacciato dal paradiso ma ne serbi tuttavia un preciso ricordo» (3).
La sua qualità di pittore moderno gli permette di eliminare dalle sculture ogni forma di pittoresco, se un quadro moderno in fondo è costituito da linee e colori, la scultura moderna deve essere qualche chilo di creta. La leggerezza massima della pittura si deve contrapporre alla pesantezza della scultura, alla sua forza gravitazionale sulla “terra”, infatti la parte bassa della sua scultura è sempre più sviluppata perché deve aderire meglio alla “terra” da cui trae vita e nutrimento come un albero, e come esso aspirarne la linfa e subirne le trasformazioni, “la dafneizzazione” e questo processo si materializza davanti ai nostri occhi, ne vediamo una parte irrigidita, lignificata e l’altra ancora morbida e vibrante; questo, secondo Matisse, per non implicarne il sacrificio totale della sembianza umana.
«Il meccanismo della costruzione consiste nell’impostare i contrasti che creano l’equilibrio delle direzioni: … una scultura deve invitarci a maneggiarla in quanto tale, in quanto oggetto» (4).
Questi corpi-scultura sono costretti a contrarsi, a inarcarsi, ad affusolarsi, a schiacciarsi, per resistere alle pressioni e tensioni che la forza dello stesso scultore esercita su di loro; «l’opera in corso reagisce al proprio autore come fa una preda fra gli artigli di una belva. …l’identificazione con il modello esige il contatto intimo, il conflitto.
Movimento-immobilità, figura-natura, pressione-peso, costruzione-struttura, azione-reazione: quasi tutte le sculture di Matisse materializzano una o più di queste polarizzazioni attraverso cui si esprime il dualismo della sua natura.
Sono lotta d’amore, teatro di un continuo fermento.
Ma le forze che nella scultura di Matisse lavorano in seno alle forme fisiche non sono fisiche: … l’intento dell’opera è tuttavia quello di rendere il sentimento provocato dalla percezione stessa. Matisse non si identifica con la belva, ma con la “passione della belva”» (5).
(1) Schneider, P., Matisse, Mondadori editore, p.544
(2) ivi, p.544
(3) ivi, p.558
(4) ivi, p.557
(5) ivi, p.558