“la Corte Europea abolisce il canone Rai”.
In primis andrebbe specificato che La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo che viene citata nel fantomatico e delirante articolo, ha sede a Strasburgo e non è una istituzione che fa parte dell’Unione Europea; non dev’essere confusa con la Corte di giustizia dell’Unione Europea con sede in Lussemburgo, istituzione effettiva dell’Unione europea.
Chiaramente nel titolo si parla soltanto di “Corte Europea” per far si che non si possa nemmeno lontanamente immaginare, anche per conoscenza di questa differrenza giuridica, che non si parli dell’altra Corte effettivamente competente per quello che riguarda eventuali contenziosi.
Andando strettamente nel giuridico, la Corte di giustizia dell’Unione Europea svolge una funzione sussidiaria rispetto agli organi giudiziari nazionali, in quanto le domande sono ammissibili solo una volta esaurite le vie di ricorso interne (regola del previo esaurimento dei ricorsi interni), secondo quanto prevede la stessa Convenzione, nonché le norme di diritto internazionale generalmente riconosciute, in parole povere prima di arrivare ad interpellare questa Corte bisogna che un qualche procedimento in Italia abbia superato tutti i gradi di giudizio e, solo allora, questa potrebbe essere chiamata in causa
Come seconda cosa andrebbe evidenziato il fatto che In Italia il canone televisivo o canone RAI è un’imposta sulla detenzione di apparecchi atti o adattabili alla ricezione di radioaudizioni televisive nel territorio italiano.
QUi di seguito cosa dice la LEGGE:
Il canone RAI Si basa su quanto disposto dal regio decreto legge 21 febbraio 1938, n.246 relativo alla Disciplina degli abbonamenti alle radioaudizioni (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n.78 del 5 aprile 1938). Questo provvedimento non è stato abrogato dal cosiddetto decreto Taglia-Leggi (con cui nel marzo 2010 il Ministro della Semplificazione Normativa Roberto Calderoli ha provveduto ad abrogare circa 375.000 leggi[1][2]) poiché è stato incluso fra le norme non suscettibili di abrogazione nella detta forma[3].
Resta dunque in vigore in Italia, e nei territori sottoposti alla giurisdizione italiana, la seguente disposizione:
« Chiunque detenga uno o più apparecchi atti od adattabili alla ricezione delle radioaudizioni è obbligato al pagamento del canone di abbonamento, giusta le norme di cui al presente decreto.[4] »
(R.D.L. 21 febbraio 1938, n. 246 art. 1, in materia di “Disciplina degli abbonamenti alle radioaudizioni.”)
La configurazione del canone riflette la circostanza che un segnale prodotto e rilasciato nell’atmosfera possa essere ricevibile e sfruttabile senza limitazioni da chiunque sia dotato di un’idonea apparecchiatura tecnica. Questo richiese, al momento di redigere la legge, di focalizzare l’obbligo contributivo su quest’ultimo aspetto, poiché i segnali criptati non esistevano.
La sua qualificazione giuridica è stata sancita dalla Corte costituzionale:
« Benché all’origine apparisse configurato come corrispettivo dovuto dagli utenti del servizio […] ha da tempo assunto, nella legislazione, natura di prestazione tributaria, fondata sulla legge […] E se in un primo tempo sembrava prevalere la configurazione del canone come tassa, collegata alla fruizione del servizio, in seguito lo si è inteso come imposta[5][6] »
(Sentenza del 26 giugno 2002 n. 284, Corte costituzionale)
Così, definita imposta, la prassi della determinazione di un canone a prezzo unico è stata ritenuta conforme al principio di proporzionalità impositiva, in quanto la detenzione degli apparecchi è essa stessa presupposto della sua riconducibilità a una manifestazione di capacità contributiva adeguata al caso[6].
La Corte di Cassazione ha esplicitato la natura del canone di abbonamento radiotelevisivo:
« Non trova la sua ragione nell’esistenza di uno specifico rapporto contrattuale che leghi il contribuente, da un lato, e l’Ente Rai, che gestisce il servizio pubblico radiotelevisivo, dall’altro, ma costituisce una prestazione tributaria, fondata sulla legge, non commisurata alla possibilità effettiva di usufruire del servizio de quo[6] »
(Sentenza del 20 novembre 2007 n. 24010, Corte di Cassazione)
Pertanto l’imponibilità dipende esclusivamente dalla detenzione di un apparecchio, indipendentemente dall’effettiva ricezione dei programmi della Rai o dalla mancanza di interesse a riceverne[7]. La legittimità dell’obbligo è stata confermata anche da altre sentenze della Corte costituzionale[8] e della Corte di Cassazione[9].
Sulla competenza territoriale, in precedenza ascritta alla sola Commissione tributaria di Torino in quanto vi ha sede l’ufficio tributario specializzato, la stessa sentenza ha stabilito che essa spetta esclusivamente alle commissioni tributarie provinciali competenti per territorio.
Nessuna domanda di abrogazione della legge in questione è stata mai presentata dal nostro parlamento, quindi:
SIAMO DI FRONTE ALL’ENNESIMA BUFALA