Non ci basta la storia di tutti i giorni e le tragedie che quotidianamente viviamo, ma in cuor nostro attendiamo di essere superati da un evento catastrofico, che possa farci redimere tutti, ovvero farci sentire un po’ più uguali.
Essere uguali agli altri, non avere differenze né nel bene né nel male, perché come dicevano gli antichi “ mal comune, mezzo gaudio”. Ecco questo sembra essere l’elemento caratterizzante della cultura predominante del ragusano medio, che, diciamolo con molta franchezza è stato sempre e sempre sarà, un animale un poco troppo invidioso.
Anche nel bene chi si discosta appare, e chi appare è vittima di invidia. Allora le mamme prudenti predicano ai loro figli ragusani, “ ma chi te lo fa fare?” Meglio un posto al comune oppure alla Banca agricola, che fare sto lavoro di tuo padre.
Ragusa è morta già da tempo. Ragusa è morta quando sono morti i massari perché di massari oggi non ce ne sono più. Le nostre campagne sono nelle mani di albanesi, o tunisini, o rumeni, ma non più ragusani.
E’ chiaro che non mi riferisco all’aspetto economico dell’agricoltura, ma all’aspetto culturale di quella economia che viveva di grande prudenza, e di grande rispetto. Oggi non siamo più ragusani siamo altro, socializzati e comunicanti tramite la rete, figli di una generazione, quella degli anni ’70 che è stata la generazione cha ha ucciso la nostra cultura di massari, optando per il pubblico impiego, e che ha procreato individui geneticamente modificati, con caratteristiche non ancora rintracciate ed identificate. Basti ricordare che dal 1977 non si fanno più concorsi pubblici e che in diverse ondate sono entrati e si sono sistemati negli enti pubblici a centinaia, tra la Provincia ed il Comune di Ragusa fino ad arrivare ai nostri giorni con la stagione della stabilizzazione degli articolisti.
L’articolista, ( prende questa accezione dall’art. 23 della legge n. 67 del 1988) è un soggetto che ha percepito un reddito di circa 480 euro per 20 anni e che è stato stabilizzato solo nel 2008 – 2010. Alla Provincia regionale di Ragusa gli stabilizzati provenienti dall’art. 23 sono stati 110, mentre al Comune circa 200. Ovviamente stiamo parlando dell’ultima ondata, ma ci sono state tutte le altre precedenti che sfuggono ad una rigorosa statistica.
Siamo dunque figli di soggetti che sono cresciuti con un pacchetto di valori in parte diversi rispetto ai valori che facevano parte della nostra cultura e della nostra gente ragusana, ma siamo soprattutto i cultori del pregiudizio: sappiamo tutto e siamo in grado di leggere la verità da pochi elementi e da pochi indizi.
E già il pregiudizio viene coltivato nella nostra mente, ed alimenta le nostre dissertazioni serali, sui socialnetwork. Siamo tutti economisti, avvocati, allenatori di calcio, quasi maghi perché sappiamo leggere elementi divinatori che il cielo ci offre.
Prende le mosse da questa infinita stupidità collettiva il processo social-mediatico fatto alla Banca, al suo Direttore, ed ad una serie indefinita di imprenditori, che in effetti giorno per giorno lottano per restare in piedi e dare lavoro a noi ed ai nostri figli.
Se rincorrere uno stile di vita ricco di benefici e di benessere fosse reato, saremmo tutti chi più chi meno, colpevoli, ma quasi ci rallegriamo a sentir parlare male degli altri. Come se tutto questo fa venire meno i nostri casini quotidiani e ci mette in una posizione di garanzia o di supremazia, per dire a noi stessi: va bè se è successo a lui, allora il mio assegno a vuoto cosa è, meno di niente!
Siamo veramente bestiali. Ci siamo dimenticati di cose importanti che vanno tutelate e difese fino alla morte, perché fanno parte del nostro mondo e della nostra cultura. Piaccia o non piaccia, questa è la nostra Banca e va tutelata fino alla morte, va difesa da chi vuole a tutti costi portarcela via, da chi vuole venderla per farne profitto, e dalle autorità che tentando di far passare un messaggio di garantismo spingono per farci vendere. La Banca è dei ragusani, ed è l’unica banca che fa investimenti, che eroga guardando ancora negli occhi, e stringendo la mano all’imprenditore che rischia. La nostra ricchezza passa per il lavoro ed il lavoro è frutto di un impegno diretto di questa banca. Non esiste economia ragusana senza questa banca. Attaccare questa banca significa dunque attaccare il nostro sistema economico. Come non comprendere tutto ciò?
E già l’imprenditore è uno che rischia, ed è uno che da lavoro. Quanto lavoro c’è in giro? Poco, molto poco. E quanto valgono 50 posti di lavoro? Valgono tantissimo. Allora prudenza cari lettori, abbiate prudenza nel dire e nel processare la gente, perché i processi vanno fatti in tribunale. E cercate di volere bene a chi occupa persone per produrre ricchezza, perché non esistono altri mezzi per garantirsi la sopravvivenza.
Chi si attendeva arresti importanti, operazioni con elicotteri e battaglie navali è rimasto deluso. Forse le cose non sono sempre come si racconta. Forse la verità va ben oltre i nostri pregiudizi.