E’ un must, ormai è divenuta una triste consuetudine, aprire la posta e ritrovarsi decine di mail di cittadini, di organizzazioni di categoria, ma anche di politici e a volte persino di enti che in un modo o nell’altro parlano della crisi. Decine di note, di comunicati stampa che fanno riferimento alla crisi economica, alle difficoltà delle famiglie e delle imprese. I tassi di disoccupazione che crescono, le aziende che chiudono, i tanti lavoratori che sono o stando entrando in cassa integrazione. Una consuetudine, certo, alla quale pian piano ci stiamo facendo l’abitudine, e dire che questa terra, un tempo, era definita l’isola nell’Isola.
Certo la crisi viene da lontano, le cause, come tutti sanno, non sono neppure italiane, ma non per questo si può stare con le mani in mano. Gli imprenditori, magari quelli bravi, i più illuminati, cercano di stare a galla, fanno sacrifici, si ingegnano, investono, provano a difendere la loro fetta di mercato, gli altri, sopravvivono, tirano la cinghia, chiedono pure un sforzo ai loro lavoratori nella sola speranza di non chiudere.
Parlavamo di consuetudine, un’abitudine, però, che diventa fastidiosa se non addirittura irritante quando a parlare di crisi sono gli Enti, i politici, le organizzazioni datoriali. Da loro ci si aspetterebbe qualcosa di più, degli interventi incisivi, delle politiche concrete in favore delle imprese. Invece cosa fanno? Si riuniscono, parlano, discutono, redigono pure dei documenti, che poi non hanno nessun seguito reale.
Poche settimane fa, per esempio, Ragusa è stata teatro di una kermesse di respiro nazionale, che ha visto la partecipazione di oltre 700 presenze di cui 150 autorità politiche e istituzionali e massime personalità della Commissione Europea, del Governo nazionale e del Governo Regionale oltre al gotha di Confindustria Sicilia, alla fine hanno deciso che bisogna “rimettere al centro del dibattito politico l’industria manifatturiera, abolire ogni forma di clientela, puntare sulle competenze, sostenere il percorso di internazionalizzazione delle pmi e rilanciare il sistema delle infrastrutture”. Occorreva un convegno per scoprire ciò?
Per fortuna però questo è un convegno privato, che al contribuente non è costato nulla, se ignoriamo i viaggi dei vari politici, ben altra faccenda, invece, sono le manifestazioni organizzate dalle istituzioni, queste sì che sono a carico del contribuente. Il format è lo stesso, anche in questi casi nomi di spicco, affitto di sale, grandi discussioni, promesse, per giungere infine alle stesse conclusioni: “il valore dell’internazionalizzare”, “l’importanza di fare sistema”, “il bisogno di valorizzare il territorio”.
L’incapacità del mondo politico ad affrontare questi temi si palesa in tutta la sua evidenza con le “elemosine di Stato” ovvero con gli aiuti a pioggia dei vari servizi sociali o di qualche altro assessorato, buoni solo ad elargire un po’ di denari, che a nulla servono se non a ripulirsi la coscienza. Incapaci di risolvere le vere problematiche sociali difendono uno status quo fatto di tasse e tributi.
A fare da cappello a tutto ciò, come una conseguenza naturale della crisi, ci sono pure quegli imprenditori che, cercando di sopravvivere, si muovono tra le pieghe della legge. I controlli della Polizia e dell’Inail, è cronaca di oggi, che hanno rilevato delle irregolarità in alcuni locali di Ragusa, hanno una valenza estremamente positiva, non tanto per l’attività repressiva, ma perché riequilibrano il mercato, questi imprenditori, infatti, con loro concorrenza sleale inquinano il mercato eludendo la legge a differenza di quegli altri che, tra mille difficoltà, cercano di andare avanti.