“Ma il tempo che si perde per capire un paziente ha un significato. È testimone di quella solidarietà umana che dovrebbe essere alla base del rapporto con l’altro” . Eugenio Borgna – Intervista su L’Espresso
E se lo legge una mamma?
«È un precipizio. La percezione soggettiva di una madre e di un padre della sofferenza del proprio bambino, se letta attraverso una di queste descrizioni, li porta a deformare la loro visione. E conduce poi il medico, che fatalmente deve fondarsi su quello che i genitori e gli insegnanti dicono del bambino, a formulare diagnosi già belle confezionate. Magari senza mandarlo nemmeno da uno psicologo che potrebbe essere sicuramente più utile dell’uso di farmaci».
È quanto dichiara Eugenio Borgna in un’intervista di Francesca Sironi pubblicata su L’Espresso.
Psichiatra di fama mondiale, Borgna, critica aspramente il DSM-V, la nuova edizione del Manuale Diagnostico dei Disturbi Mentali, utilizzato in tutto il mondo e giunto in versione italiana il 28 Marzo 2014.
L’introduzione di nuove diagnosi, come “bambini irrequieti, adolescenti timidi, insensibili e indifferenti” desta sbigottimento e fa riflettere: quale il senso di queste “micro-visioni analitiche che rischiano di rendere patologica ogni forma di sofferenza?”
Questo non interessa solo psichiatri, psicoterapeuti e professionisti della diagnosi, ma riguarda tutti, mamme, papà, ciascuno di noi, perché la maggiore critica avanzata alla nuova edizione del manuale è appunto quella di abbassare molto la soglia della separazione tra normalità e patologia, ampliando di conseguenza la gamma dei comportamenti considerati come patologie da curare, essenzialmente con psicofarmaci.E siccome curare con gli psicofarmaci è molto più facile rispetto ad altri modi di affrontare le difficoltà, il rischio è che un bambino arrabbiato e aggressivo si veda rifilare pillole, mentre nessuno cerca di comprendere il significato della sua rabbia.
La moltiplicazione delle diagnosi potrebbe tradursi, da un lato in una medicalizzazione in massa della normalità, dall’altro in una miniera d’oro per l’industria farmaceutica.
Ma il rischio non è solo questo: l’idea che ritroviamo nel DSM-5 della malattia mentale, vista come elenco di sintomi, ci fa dimenticare l’irrinunciabile unicità delle persone e delle loro storie.
Perché, poi, annullare ogni differenza di comportamento e ogni sofferenza, sottraendo senso al dolore, alla malinconia, e riducendoli a malattie di cui vergognarsi?Perché tutte le edizioni del DSM partono da una premessa sbagliata.
La premessa che ha da sempre accomunato tutte le edizioni del DSM, infatti, è stata quella di utilizzare un linguaggio comune, capace di permettere il dialogo tra professionisti di tutto il mondo.Possibilità o utopia?Probabilmente utopia. Borgna commenta “Ma la tristezza, l’angoscia, la colpa, la volontà di morire, le esperienze dell’animo umano non possono essere classificate come se si trattasse di una pancreatite. Non basta riconoscere dei segni esteriori, dei comportamenti evidenti, per stabilire cosa sta succedendo […]”.
Infatti, se non prendiamo in considerazione il contesto sociale, l’esperienza relazionale, il vissuto della persona, l’ambiente corporeo-relazionale con cui interagisce, come possiamo esclusivamente farci “incastrare” dalle diagnosi?
Nella Prefazione del libro “Devo Sapere Subito se sono vivo. Saggi di Psicopatologia Gestaltica” edito da Il Pozzo di Giacobbe, di Argentino, Conte, Sichera, Salonia – lo Psichiatra E. Borgna sostiene che “Non c’è psicoterapia che non muova dalla preliminare determinazione diagnostica dei disturbi ma nella contestuale considerazione che la diagnosi in psichiatria è non di rado solo indiziaria”, delineando una diversa prospettiva della cura, che nasce e si dispiega in una relazione interpersonale terapeuta-paziente “in un dialettico e inevitabile contesto relazionale”.
Dott.ssa Stefania Antoci, Psicoterapeuta Gtk Community