di Maria Strazzeri
Spray, sticker, stencil, interventi grafico-pittorici, proiezioni video, sculture che tracciano un percorso invisibile ai più con un senso compiuto e voluto.
Manifestazioni d’arte, spesso illegali, che sbucano dietro gli angoli delle strade nelle più disparate città del mondo, questo è il significato della sintagma nominale Street art. Se stabilire con certezza quando nasca il fenomeno sia impossibile, si può affermare, invece, che questa nuova forma d’arte contemporanea sia un’evidente evoluzione del writing, dal quale prende l’idea di ripetizione ossessiva e il modo di rapportarsi agli spazi urbani, ai mezzi di trasporto e ad alcuni materiali. Se nel writing puro l’importante è scrivere e quindi l’attenzione è focalizzata sulle lettere, nella Street Art si cerca invece di elaborare una o più immagini per costituire un messaggio unico e di farle conoscere ai più. Come per tutte le arti essa si distingue per i suoi differenti filoni e per le sue diverse visioni. Fra questi artisti non esiste, infatti, filosofia comune: c’è chi preferisce la qualità alla quantità, chi pensa che le dimensioni debbano essere parametro principale, chi si focalizza sul soggetto o sul messaggio da trasmettere, chi lo fa legalmente su superfici che non comportano danni a beni immobili, chi lo applica solo sui mezzi pubblici e chi senza alcuna remora lo usa per sporcare patrimoni architettonici della società. Nella maggior parte dei casi però non si tratta di desiderio di marcare il territorio quanto di volere elaborare qualcosa di proprio e riconoscibile, di farlo meglio degli altri e di far in modo che sia il più visibile possibile.
C’è chi lo considera un modo di imbrattare i muri, c’è chi invece è disposto a pagare fior di quattrini per affermare di possederne uno. Sono modi differenti di approcciarsi a un fenomeno che, ormai al suo trentesimo compleanno, è considerato un influente spunto per le arti visive, la pubblicità, le campagne marketing, il gusto di migliaia di persone. Diffusosi velocemente e a macchia d’olio ha sicuramente assunto un carattere più globale che locale, portando persone di luoghi diversi a produrre soggetti e ad utilizzare tecniche equiparabili. Gli autori di questa corrente tracciano idee, diffondono messaggi iconografici, impartiscono lezioni di vita, criticano, protestano e inventano ognuno a suo modo. Ciò che li accomuna è il luogo dove operano, l’unicità, l’originalità e l’effimeratezza delle loro produzioni.
Tante le opere e gli artisti meritevoli di citazione fra cui le campagne Obey Giant e Space Invaders, che hanno avuto una diffusione mondiale oltre ogni aspettativa, dando seguito anche a un notevole merchandising, o le opere di un singolo artista come Banksy, selezionato dal Time fra le 100 persone più influenti del mondo al pari di Obama, Steve Jobs, Marc Zuckerberg, Lady Gaga e quant’altri. Pochi conoscono il suo vero nome e pochissimi sono riusciti a vederne le fattezze. Lui il guerrilla artist più famoso è riuscito a mantenere il suo anonimato pur essendo stato citato sulle maggiori testate inglesi e americane. Come Batman si aggira per le città del mondo da Vienna a San Francisco, da Barcellona a Israele da Parigi a Detroit, lasciando il suo inconfondibile messaggio su innumerevoli pareti. Insignito persona dell’anno ai Webby Awards del 2014, Banksy comincia ad operare a Bristol, Inghilterra, negli anni 90; le sue opere sono differenti sia per temi e soggetti che per tecniche usate: “Io uso quello che serve. A volte questo significa solo disegnare un paio di baffi sul volto di una ragazza su qualche cartellone, talvolta, significa sudare per giorni su un disegno intricato”. Definito dai giornali londinesi ‘un critico della società contemporanea’, da molti è stato paragonato a Warhol. Come l’artista più noto della Pop Art, Banksy è il capofila, è colui che ha reso noto il fenomeno Street Art. Di natura politica e sociale, i suoi pezzi raccontano della condizione umana, criticano l’avidità, la povertà, l’ipocrisia, la noia, le assurdità della società e l’alienazione.
A partire dalla collezione ‘Rats’, stencil di topi disseminati per Londra, Parigi e New York scelti dall’artista come soggetto in quanto odiati, cacciati e perseguitati eppure capaci di mettere in ginocchio intere città. E ancora, la dozzina di immagini satiriche dipinte, intonacate e spruzzate nel 2005 sul cemento alto otto metri della ‘Israeli West Bank Barrier’, che costituisce la barriera di separazione costruita dal governo di Israele nei territori della Cisgiordania: “Quanto può essere illegale vandalizzare un muro – chiede Banksy sul suo sito web – se il muro stesso è stato dichiarato illegittimo dalla Corte internazionale di giustizia?” Lungo 700 km e 3 volte più alto di quello di Berlino, è stato una tavola di lavoro perfetta per l’autore che utilizzando la tecnica del trompe l’oeil è riuscito a creare degli squarci che permettono di vedere dall’altra parte. Nei quattro murales sul riscaldamento globale prodotti nel 2009 al termine della Conferenza sui cambiamenti climatici, l’immagine si unisce alle parole e così l’autore immerge per metà in acqua la scritta ‘Io non credo nel riscaldamento globale’. Ma Banksy è molto di più. Le sue opere, oggi più che mai, hanno un valore inestimabile e i collezionisti fanno a gara ad accaparrarsene a qualsiasi prezzo. La street art non è solo manifestazione di pensieri tramutati in manufatti artistici. Il mondo economico e i business che vi ruotano intorno sono da capogiro a partire dalle vendite legali o meno, alle campagne marketing, fino ai gadget, adesivi, magliette e cappellini e alla propaganda on line. Nata come forma di protesta e di auto referenzialità è stata oggi divorata dal dio Denaro.
http://www.setup-web.it/