In alcune regioni italiane la posidonia spiaggiata va lasciata dov’è perché previene l’erosione della costa.
In leggera deroga alla normativa, le località balneari turistiche possono rimuovere la posidonia d’estate e rimetterla a posto in inverno.
A Ragusa, dopo le forti e pressanti sollecitazioni, in ossequio alle leggi regionali che qualcuno non avrebbe nemmeno voluto osservare, il Sindaco Piccitto e l’Assessore competente Corallo hanno provveduto a restituire alla comoda fruibilità la spiaggia di Punta di Mola, spiaggia che, se dobbiamo dire il vero, da oltre 50 anni, non è certo meta preferita né ambita dei villeggianti.
Ciò che ha colpito in questa vicenda, in cui certa opposizione ha interpretato a meraviglia il ruolo imposto sparando a zero sull’amministrazione, è stato il silenzio degli ambientalisti, dei ‘’verdi’’, degli ecologisti, che sono pronti a fare un dramma per ogni minima offesa all’ambiente, mentre, in questo caso, c’è stato il silenzio assoluto. Solo una timida nota di SEL ha chiarito i termini della vicenda, facendo appello a che le alghe venissero accumulate ai margini delle spiagge, magari coperte con sabbia, ma lasciate sul posto, anche a costo del momentaneo disagio per i bagnanti. Vox clamans in deserto !
Da parte di coloro che ci sommergono con ogni tipo di corbelleria ecologica ambientalista per il risparmio energetico e per la tutela dell’ambiente, il silenzio assoluto.
Ma cosa ci avrebbero dovuto dire ?
la posidonia è un buon bioindicatore. Significa che se ci sono le famose “praterie” di posidonia, l’acqua è pulita ed il mare è buono.
In alcune regioni hanno ricavato dalla posidonia del fertilizzante agricolo, in altre hanno riciclato le alghe per creare shoppers ecologici oppure carta riciclata. Si può, anche, ricavare biodiesel dalle alghe.
Anzi, proprio perché da rifiuto diventa materia prima, potrebbe perfino esistere qualche azienda disposta a pagartela un tot alla tonnellata oppure anche solo a rimuoverla gratuitamente.
Impropriamente chiamata alga, sulla questione posidonia “risorsa o rifiuto?” le posizioni sono contrastanti, cerchiamo di fare il punto, riscoprendo antichi saperi sostenibili nell’agricoltura e nell’artigianato, nonché interessanti ricerche scientifiche finanziate dalla UE.
Il fenomeno dello spiaggiamento della posidonia avviene normalmente durante il periodo compreso tra l’inizio dell’autunno e la fine dell’inverno ed è favorito dall’azione combinata delle correnti marine e del vento. Purtroppo, la perdita delle foglie può accadere anche durante la stagione estiva e ciò non è naturale ma è dovuto all’azione antropica sempre più invasiva.
I principali nemici delle praterie di posidonia sono le imbarcazioni da diporto, l’attività di pesca a strascico e le acque intorbidite da scarichi non a norma di legge.
IL PARERE DEL WWF
La posizione degli ambientalisti, riguardo la gestione della posidonia spiaggiata, ricalca l’opinione conservatrice del WWF pubblicata, a maggio del 2012, nel «Dossier coste: il profilo “fragile” dell’Italia» e si fonda sui risultati di un progetto internazionale di ricerca, il Global Land Project, nell’ambito del grande partenariato dedicato alle scienze del sistema Terra.
Leggendo il corposo dossier troviamo il decalogo per salvare le dune, le quali sono considerate indispensabili protezioni naturali contro l’erosione delle coste. In sintesi, sui resti di Posidonia oceanica – così come anche tronchi, rami, canne, foglie ed alghe – il WWF raccomanda di lasciarli dove il mare li deposita. Inoltre, testualmente sostiene: «la presenza di resti di posidonia sulla spiaggia è indice di alta qualità ambientale, molto meglio di una “bandiera blu”: i comuni dovrebbero quindi andarne fieri e non far di tutto per rimuoverne ogni indizio! La degradazione delle foglie è alla base delle catene alimentari costiere, garantendo così una pesca abbondante e i cordoni che si spiaggiano sono un formidabile strumento per smorzare la forza delle onde e consentire alla sabbia di depositarsi ed essere trattenuta. Tuttavia se proprio si ritiene indispensabile rimuovere depositi considerati eccessivi, ci si limiti a spostarli con grande accortezza al margine della spiaggia, al piede della duna, dove con il tempo verranno coperti dalla sabbia e dalla vegetazione, dando vita ad un nuovo cordone dunale; oppure possono essere ammucchiati dove non danno fastidio ma alla fine dell’estate andranno restituiti alla riva.»
Se da una parte le praterie di posidonia sono tutelate come habitat prioritario dalla Direttiva 92/43 della UE in quanto considerate vere e proprie fabbriche di ossigeno e luoghi ideali di un’infinità di nicchie ecologiche, dall’altra i suoi resti spiaggiati non sono in realtà governati da un riferimento legislativo chiaro e inequivocabile. In alcune realtà balneari si pone in fatti il problema di smaltire l’eccesso di materia organica che si accumula sulle spiagge giorno dopo giorno e, a quanto pare, è un fenomeno in aumento nonchè molto sentito. Dai nostri studi risulta che gli inceneritori o termovalorizzatori – attualmente disponibili – non sono stati progettati per bruciare biomassa troppo ricca di sali minerali e nel contempo questa non può nemmeno andare a saturare le discariche di RSU (Rifiuti solidi urbani). Quest’ultimo sistema di smaltimento, a parte di essere sconsigliato dalla direttiva europea sulla gestione eco-efficiente dei rifiuti, comporterebbe uno spreco inutile di risorse e aumenterebbe le tasse pro capite per la gestione dei rifiuti nei comuni balneari.
In tempi remoti – come osservarono già nel 1998 i ricercatori dell’associazione Marevivo nella «Relazione Illustrativa» pubblicata nel 2001 – «le banquettes erano considerate parte integrante del paesaggio costiero e la “convivenza” con tali forme di deposito naturale era più che gradita. Gli abitanti da generazioni avevano in fatti imparato a sfruttare la biomassa di posidonia spiaggiata in molteplici forme di utilizzazione: quale materiale isolante – termico ed acustico – materiale da imballaggio e per imbottitura di materassi e cuscini, ammendante naturale ricco di oligominerali specialmente indicato per i pomodori, materiale per la formazione di suolo fertile e persino per confezionare tessuti.» Oggi purtroppo, queste preziose biomasse si mescolano ad altri rifiuti urbani spesso non biodegradabili, quindi: sporcizia fomenta sporcizia.
In Spagna non esiste una regolamentazione specifica. Come per altri paesi del bacino Mediterraneo i resti di posidonia sono considerati elementi di degrado e, per motivi turistici, ne è praticata la rimozione come rifiuto urbano. Per quanto riguarda il compostaggio riportiamo l’interessante esperienza valenziana del comune di Denya. Con il sostegno finanziario dello strumento LIFE Ambiente (concesso dalla UE nel 1996) la municipalità di Denya, sotto la supervisione dell’Università Politecnica di Valenzia, ha realizzato un impianto di compostaggio in grado di trattare circa 15.000 metri cubi all’anno di residui vegetali. Il progetto è nato dall’esigenza di rimuovere ingenti quantità di alghe e fanerogame marine (posidonia), spiaggiate in grande quantità lungo le coste, e di smaltire rilevanti quantitativi di scarti di manutenzione del verde pubblico e privato. Secondo i ricercatori con tale composizione viene ottenuto un compost di apprezzabili caratteristiche agronomiche, con deboli limitazioni e ricco in oligoelementi, particolarmente indicato per impieghi nella vivaistica, negli interventi di riforestazione o di recupero ambientale.
La piccola isola maltese spicca per alcuni interventi innovativi, anche se basati su esperienze storiche, nella gestione ed il miglioramento della copertura vegetale costiera attraverso il reimpiego della posidonia spiaggiata. Il materiale viene rimosso dalla spiaggia ed utilizzato come substrato organico per creare condizioni pedologiche favorevoli allo sviluppo delle coperture vegetali ed al restauro di aree costiere degradate o comunque denudate e carenti di suolo.
L’esperienza maltese prevede la rimozione meccanizzata, ma comunque attenta del materiale, che viene successivamente deposto in cumuli, l’uno accanto all’altro, a formare uno strato di un metro e mezzo di spessore, modellato prima dell’inverno. Dopo almeno due stagioni invernali, il deposito viene piantumato con specie quali Atriplex halimus, lungo il perimetro, e Tamarix sp. ed Acacia al suo interno. A circa 15 anni dai primi interventi i risultati ottenuti sono molto soddisfacenti essendosi realizzate barriere verdi alte più di due metri, in grado di controllare l’accesso selvaggio alle spiagge, soprattutto per le automobili, e di creare condizioni favorevoli alla colonizzazione della vegetazione pioniera locale.
Nord Europa
Alcuni paesi del Nord Europa (Germania, Danimarca e Francia) nell’ambito del progetto INTERREG IIIC CosCo (Coastal co-operation with sea grass and algae focus) hanno avviato sperimentazioni per attuare il riutilizzo delle biomasse vegetali spiaggiate in differenti settori quali quello medico, edile e commerciale. Lo scopo del progetto è quello di evitare lo smaltimento di tali depositi in discarica per non incrementare la concentrazione nell’atmosfera di biogas generato dalla decomposizione della sostanza organica. In quest’ottica, infatti, il conferimento in discarica di biomasse vegetali contraddice le direttive del protocollo di Kyoto.
Se in passato la posidonia veniva impiegata come materiale edile, per l’imballaggio, l’imbottitura di materassi, la fabbricazione di tessuti e come ammendante in agricoltura, oggi la ricerca scientifica potrebbe esplorare il suo utilizzo anche nelle seguenti aree:
Produzione di carta;
Produzione di biogas;
Produzione di polimeri termoplastici biodegradabili;
Prodotti per il design;
Settore agricolo e zootecnico;
Cosmesi ed erboristeria;
Chimica verde.