Il padre è presente sin dall’inizio…
Non c’è padre che non abbia fatto saltare su e poi giù il proprio figlio quasi a confermare
“la bellezza di essere padri, la bellezza di una forza che viene trasmessa”
G. Salonia (Tratto da: “I padri desiderano esserci, a volte non sanno come”)
I profondi cambiamenti culturali e sociali hanno modulato e rimodulato le relazioni familiari e di conseguenza, le caratteristiche e le funzioni attribuite alla figura paterna; se prima l’essere padre costituiva un ruolo marginale durante la gestazione e nei primi mesi di vita del bambino, oggi “diventare papà!” è da considerarsi una vera e propria missione intima e personale, oltre che sociale.
La definizione sociale della paternità, cioè il fatto di venire “socialmente considerati padri” è sempre stata presente ed è ritenuta tanto importante da essere interpretata da Margaret Mead “un’invenzione dell’uomo”: il riconoscimento delle “competenze e dei diritti” spettanti tale ruolo, la significatività e l’importanza che l’uomo assume nella vita dei figli risultano dunque determinati da norme e regole vigenti nella società.
Diversa questione per la definizione “intima” della paternità: l’evidente asimmetria biologica tra uomo e donna rende il “sentirsi padre” un processo di elaborazione complesso; desiderare un figlio, decidere di metterlo al mondo, percepirlo ed accompagnare la prima crescita nell’utero della donna sono compiti psicologici complessi, che mettono la mente nella condizione di avere un rapporto con ciò che non è soggettivamente percepibile.
Un elemento che sembra essere in assoluto costitutivo del sentirsi padre e che accompagna tutto il periodo della gestazione della compagna, fin dalla notizia dell’accertamento della gravidanza, è il senso di preoccupazione/responsabilità: il sentimento di preoccupazione nei confronti del nascituro da una parte, quello di responsabilità rispetto a diventar padre dall’altra. Tutto questo è visibile nel corpo dell’uomo che si affaccia alla paternità, nel modo di parlare di sé, nella relazione di coppia, nel modo di presentarsi al mondo. Il futuro padre riconosce di essere diversamente coinvolto rispetto alla futura madre e chiede a lei di fare da tramite per potersi avvicinare al bambino, per sentirne la presenza, per imparare a pensare a lui, preoccupandosi per lui attraverso l’accudimento della compagna. La pancia diventa “il confine di contatto” tra la mano del padre e il piedino del bambino, in una dimensione che da duale diventa triadica. Ovviamente il rapporto di coppia è il primo “vettore” della paternità: un essenziale veicolo che consente di costruire la propria identità paterna.
In generale, la buona relazione di coppia, sia prima che durante la gestazione favorirebbe un maggiore coinvolgimento del padre rispetto alla relazione con il bambino. Avvicinandosi alla donna, sfiorando la pancia, sentendosi coinvolto in quella relazione a due, propria della maternità, il futuro padre sente di poter essere riconosciuto dal proprio bambino e viene così “incoraggiato” ad investire nella relazione, per quanto ancora solo mentale, con il proprio figlio.
La costruzione del “posto del padre” è certamente una scelta di responsabilità e di consapevolezza che l’uomo compie, ma per la quale deve essere sempre maggiormente coinvolto e sensibilizzato. Ciò, anche perché la donna, nel ruolo di madre, avendo basi naturali forti su cui appoggiarsi (gravidanza, parto, allattamento) risulta la più favorita, mentre ancora oggi il padre sembra avere bisogno di stimoli che lo aiutino a definirsi riconoscendo i propri vissuti, bisogni e frustrazioni con maggiore consapevolezza e spontaneità: tradizioni culturali, modelli sociali che valorizzano la paternità, rituali della paternità propri della post-modernità, regole interiorizzate e memoria storica del proprio padre lo potranno incoraggiare e sostenere nella nuova identità di padre. È necessario supportare i padri, spesso disorientati, in modo tale da poterli preparare alla nascita e all’accoglimento del bambino. Molti di loro desiderano poi assistere alla nascita, ma spesso capita di vedere in sala parto dei padri spaventati, che si sentono impotenti di fronte al dolore della compagna. In questi momenti è importante aiutarli ad avvicinarsi alla donna, facendoli riflettere sul fatto che, anche se sicuramente la protagonista concreta dell’evento è lei, loro possono fare molto: accarezzare la loro compagna, stringerle la mano, bagnarle le labbra, rassicurarla con parole di sostegno, facendo sì che il loro non sia più un ruolo di osservatore esterno, ma un ruolo di partecipazione e vicinanza, un punto di riferimento per il nuovo nido familiare. In questo modo assistiamo al “ritorno della paternità nella relazione” (G. Salonia).