Non ci saranno impatti significativi sugli habitat delle zone interessate. E’ questa la motivazione che la Regione Siciliana dovrebbe utilizzare pur di rilasciare le autorizzazioni per trivellare la costa iblea, in un tratto che va da Pozzallo fino a Marzamemi, nel Siracusano. Una beffa per il territorio, così come più volte ribadito negli ultimi cinque anni dalle tante associazioni ambientaliste che lottano per fermare i colossi del greggio. Ma che fine ha fatto la presa di posizione della commissione ambiente dell’Ars che ha vietato nuove perforazioni oppure l’ordine del giorno votato in Senato nella seduta del 3 marzo che impegnava il governo nazionale a non rilasciare nuove autorizzazioni relative alle attività di prospezione, ricerca, coltivazione e stoccaggio di idrocarburi? I comuni di Scicli, Ragusa, Modica, Ispica, ed altri 45 sindaci siciliani, tre anni fa, firmarono un documento di Greenpeace al fine di fermare i colossi del greggio. A questo appello si unì il mondo della cultura oltre a numerosi cittadini che hanno firmato una petizione online. Per non parlare delle numerose associazioni ambientaliste che non vogliono nuovi «buchi» nel sottosuolo marino.
“Alla faccia di chi non vede impatti significativi per il territorio – commenta Alessandro Giannì, direttore delle campagne Greenpeace Italia– ci sarebbe da fermare tutto, e nel più breve tempo possibile. Non hanno ancora capito che tutta la popolazione siciliana è contraria a questi scempi. Si continua a pensare che le province di Ragusa e Siracusa siano province di serie B. Gli effetti saranno drammatici. Non si azzardino a dare ulteriori concessioni perché daremo battaglia a chi vuole distruggere il territorio. Invito anche i politici iblei a farsi sentire. Non è più tollerabile una situazione simile”.