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Parla l’ex sindaco di Vittoria Giuseppe Nicosia: “Io, vittima di un errore giudiziario”

by Redazione
24 Ottobre 2018
in Politica
Parla l’ex sindaco di Vittoria Giuseppe Nicosia: “Io, vittima di un errore giudiziario”
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Riceviamo e pubblichiamo la nota diffusa questa mattina dall’ex sindaco di Vittoria, Giuseppe Nicosia (nella foto).

“Ho atteso in rigoroso silenzio che la magistratura giudicante, una magistratura serena, preparata, competente, scevra da pregiudizi e condizionamenti esterni, si esprimesse e spazzasse via con la forza del diritto l’infame accusa avanzata, invece, da quella parte di  magistratura inquirente che si è affidata a falsi mezzi pentiti, non adeguatamente riscontrati, ed a congetture prive del seppur minimo elemento indiziario.

Ora e solo ora posso liberamente intervenire contestando la totale infondatezza di tutti i capi di accusa a mio carico, le molteplici dichiarazioni alla stampa rilasciate dagli inquirenti, e denunciando all’opinione pubblica il gravissimo errore giudiziario, frutto di una serie di macroscopici e grossolani equivoci, che ha trasformato persone stimate e libere in vittime di un caso eccezionalmente raro di “mala giustizia”.

Si, perchè come esistono gli errori dei politici, dei medici con la malasanità, etc. esistono anche, e purtroppo, gli errori dei magistrati (vedi i casi del sindaco di Scicli, della cattiva gestione di pentiti in casi eclatanti come Tortora o Scarantino). L’errore giudiziario quando è clamoroso non può che essere denunciato come tale.

In molti mi hanno consigliato cautela, ma io -che come Sindaco e come avvocato ho avuto nelle iniziative per la legalità e per il contrasto alla criminalità sempre parole di denuncia contro questa e contro le intimidazioni e le minacce-, sono certo di non fare un torto, ma anzi di seguire i dettami della migliore magistratura, nel non tacere omertosamente e nel dichiarare che tanto io che Fabio siamo stati travolti, ed insieme ai nostri cari, traumatizzati da un così grave errore giudiziario.

Auspicabile sarebbe l’intervento di Mattarella, non solo quale garante della Costituzione ma anche nella veste di Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura, affinchè i “motivi” che hanno portato alla mortificazione su scala nazionale di persone perbene, quali noi siamo, vengano esaminati dall’organo di autogoverno e di controllo dell’operato dei Magistrati.

Rammento le recenti parole del Presidente Mattarella, “le toghe non siano abiti di scena”, per dire che auspico che non lo siano più neanche le divise dello Stato e che tutte insieme non costituiscano gli abiti e le sedie da regista di gratuite e incongrue produzioni televisive.

In quale altro modo può qualificarsi la messa in scena in cui è consistita la “notifica” dell’ordinanza con cui si disponeva la misura degli arresti domiciliari? Sì, una notifica, così la qualifica espressamente l’art 293 comma 2 cpp differenziandola appositamente dall’esecuzione della misura in carcere,  per la quale era espressamente inutile ed estremamente dispendioso l’uso di elicotteri, di circa 15 agenti dedicati ad ogni soggetto cui notificare l’ordinanza, lo spianamento delle armi sin dentro case dove dormivano bambini, di foto e riprese anche a raggi infrarossi, di innumerevoli uomini partiti con decine di mezzi in notturna da Catania.

Cosa si temeva ? che scappassi con la canoa sita nella mia veranda a mare, o che ingaggiassi un conflitto a fuoco con la pistola ad acqua del mio piccolo di 5 anni che dormiva ignaro? evidentemente non sussisteva alcuna esigenza che giustificasse un così impressionante uso della forza pubblica per una innocua notifica (corre sicuramente più rischi l’ufficiale giudiziario che provvede alla notifica di uno sfratto). La motivazione reale consisteva, per usare le stesse parole di coloro che hanno richiesto il carcere per me, nel “narcisismo” graduato e togato di assicurarsi idonea scenografia per la conferenza stampa. Conferenza stampa nella quale, oltre a consacrare l’enorme spreco di risorse pubbliche e danno erariale, si è messo in scena l’uso mediatico della vignettistica diffamatoria con la quale, alla stregua dei peggiori cartelloni pubblicitari, si mostrava, quale sipario della conf stampa, il fotomontaggio delle  nostre foto congiunte dalla stretta di mano fumettistica con gli altri arrestati indicati quali pregiudicati.

Ma veniamo all’indagine, che ancora prosegue e delle cui singole risultanze pertanto ancora non parlerò per rispetto del lavoro della magistratura. E’ proprio questa che, se si guarda con occhi scevri da pregiudizio, denuncia l’insussitenza delle ipotesi accusatorie, evidenzia che non vi è mai stato alcun supporto della criminalità alla nostra attività, che questa anzi è stata denunciata, che non vi è stata alcuna richiesta di voti mia o di mio fratello in cambio di favori ad alcuno degli altri coindagati, con i quali non sono mai sussistiti neanche semplici incontri o contatti a tal fine. L’ipotizzato “sinallagma” non è provato neanche lontanamente proprio perchè non è mai esistito e gli investigatori avrebbero potuto evitare tale serie di equivoci se avessero approfondito con le forze dell’ordine locali le informative sui personaggi coinvolti. L’esaltare poche e semplici frasi dubbie estrapolate da migliaia di ore di intercettazioni non può supplire all’assenza di riscontri ed alla conoscenza del territorio e delle persone sulle quali si indaga. Faccio un esempio, trattandosi  di informazioni rese pubbliche dagli stessi inquirenti: come si è potuto anche solo immaginare, ipotizzare e a maggior ragione ritenere provato  tanto da comunicarlo alla opinione pubblica e al mondo intero, un mio “accordo” con il Lauretta: soggetto al quale era stata confiscata la casa di proprietà e assegnata  tramite regolamento della mia amministrazione a delle coopoerative sociali, dal quale avevo ricevuto minacce, che avevo inoltrato immediatamente all’autorità ??? Avrebbero dovuto assistere gli inquirenti agli sguardi carichi di odio del sig. Lauretta nei miei confronti nei secondi in cui ci siamo visti prima dell’interrogatorio e dell’udienza del riesame! Altro che scambio di voto e stretta di mano!!!

La decisione del GIP pressocchè immediata (ho interloquito per la prima volta con un magistrato il 23 settembre a soli 2 giorni dall’arresto) della revoca dei domiciliari al sottoscritto e quella del Tribunale del Riesame, che ha già motivato per i primi due  indagati con declaratoria di assenza di gravità indiziaria a supporto delle indagini, sono sufficienti, in attesa della motivazione relativa al mio provvedimento, a descrivere come la stessa Magistratura, quella serena e non alla ricerca di facili riflettori, abbia ritenuto l’operato degli inquirenti ingiustificato tanto da averlo annullato in maniera netta e totale.

Ma non è questa la sede per discutere nel merito del procedimento intentato dai PM e che verrà smontato punto per punto in quella sede dibattimentale che vedrà ristabilire la verità e le reali responsabilità di questa triste ed eclatante vicenda ed i danni che ha causato a persone perbene.

Al momento pare più opportuno sottolineare l’ultimo aspetto che rende inquietante ed unica nel suo genere la vicenda e cioè la motivazione dell’arresto. Inedita (non sono io a dirlo ma le parole con cui il Procuratore aggiunto Petralia, che ha lavorato a Ragusa per quasi tutta la durata della mia sindacatura, ha presentato alla stampa l’arresto come il primo con questa configurazione giuridica) nell’era democratica della nostra repubblica la motivazione della misura cautelare. Essa recita “appare infatti fortemente fondato il pericolo di reiterazione delle condotte…sol che si consideri l’imminenza di una nuova tornata elettorale per l’assemblea regionale siciliana..” . Una motivazione incostituzionale che ricorda provvedimenti storicamente databili all’epoca del “confino”  per finalità politiche.

Non penso che nell’era repubblicana si sia mai letto in un atto giuridiziario che esiste la pericolosità dell’indagato perchè sono vicine le elezioni e che pertanto lo stesso va arrestato. Neanche per l’arresto di brigatisti si è ricorso a tale motivazione che nulla ha a che fare con i principi giuridici che si studiano sin dalle prime lezioni di diritto.

Con tutto ciò denuncio egualmente la mia preoccupazione ed il mio fondato timore di restare nel mirino. Nel mirino di ulteriori dichiarazioni calunniatorie costruite a tavolino, di ulteriori vendette politiche, di aggiornamenti e nuove ispirazioni di falsi pentiti. Nella morsa di quello che comunque continuerà ad essere nelle sue lungaggini e fasi procedurali un processo ingiusto.

Posso assicurare comunque quanti volevano la mia “fine” politica che ciò lo avevo deciso io ben prima di questo killeraggio mediatico. Non è tempo di frequentare sedi politiche e partitiche che hanno dimostrato di non meritare il  mio più che decennale impegno. Non solo: dopo 10 anni di denunce contro la criminalità cadute nel vuoto e dopo essere rimasto senza aiuto da parte di quello Stato al quale mi ero rivolto, l’essere indagato e arrestato per  scambio politico mafioso, mi stordisce e mi impone di fermarmi anche per capire quali distorsioni vi possano essere nel “sistema”.

Sono convinto che si può perseguire il bene ed il senso del dovere pubblico anche attraverso altri ruoli pubblici e privati. E proverò a farlo da testimone di un’esperienza paradossale che intende far conoscere all’opinione pubblica quali distorsioni del sistema possono incombere sulla collettività, nonchè, così come ho fatto nella difesa delle vittime della mafia, da avvocato che  intende difendere tutte le vittime di uno Stato che, talvolta, nelle sue ramificazioni periferiche si mostra ingiusto e prevaricatore.

Concludo con un pensiero di ringraziamento:

i miei cari, Anna, Elisabetta, Valerio, i quali hanno dovuto subire i traumi e le conseguenze rispettivamente di un compagno e di un padre arrestato con un marchio d’infamia e che hanno reagito con straordinaria forza e dolcezza;

mio fratello Fabio e Nadia Fiorellini, che hanno subito gli effetti delle ingiuste accuse alla mia attività amministrativa;

il mio collega, amico, pregiato avvocato, Maurizio Catalano, il quale, seppur aduso a ingaggiar battaglia nella aule giudiziarie per i più gravi reati, penso abbia perso qualche anno di salute e diverse notti di sonno a causa del coinvolgimento emotivo dettato dall’amicizia per l’inusitato “cliente arrestato” e dalla palese ingiustizia giudiziaria;

le forze dell’ordine locali, che, con la cortesia e compostezza mostrata in tutti i momenti in cui sono entrati in contatto con me per notifiche e adempimenti vari, mi hanno indirettamente dimostrato di conoscermi meglio di quanti per mesi mi hanno intercettato, seguito ed indagato,  ed hanno avvalorato la mia ipotesi che la conoscenza del territorio e delle persone nelle investigazioni conta molto più della “intelligence” metropolitana;

coloro, e sono stati tantissimi tra colleghi, amici, giovani democratici, ex oppositori politici e semplici conoscenti, che si sono espressi pubblicamente o che hanno fatto giungere un messaggio, un incoraggiamento, di solidarietà, di stima e fiducia;

la stampa, che ha gestito con la doverosa informazione ma anche con un tatto che non mi è sfuggito, l’eclatante notizia che avrebbe potuta essere diffusa con esagerazioni mediatiche proporzionate al clamore che la conferenza stampa “exit pool” intendeva sollevare.

E, comunque, una cosa è sicura: questa storia purtroppo non finisce qui!”

Tags: erroregiudiziarioGiuseppeNicosiavittima

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