“Se una donna è intelligente, benissimo; ma se non lo è, per il concerto non cambia niente, come quando un violinista soffre di raucedine” (Gottfried Benn, La voce dietro il sipario, 1952).
“Ogni donna la sua fortuna ce l’ha fra le gambe” (Honorè de Balzac, Pensieri, soggetti e frammenti, 1833).
“Le donne sono pettegole, non sanno guidare, non hanno senso dell’orientamento, non amano il sesso, fanno carriera solo grazie al sesso, quelle brutte non fanno carriera proprio, non hanno senso dell’umorismo, non sono brave in matematica, sono bugiarde, le loro teste servono solo per i capelli, quelle bionde sono sceme, puntano solo ai soldi, hanno innato il senso materno, si vogliono solo sposare, se lavorano trascurano la famiglia e i figli. Chi le capisce è bravo”. Sono soltanto alcuni dei più comuni pregiudizi che ancora esistono sulle donne. Inutile sottolineare come alcuni siano veramente assurdi e palesemente smentiti dalla storia. Altri, continuano ad essere piuttosto radicati, soprattutto quelli di natura sessista.
“Le donne che occupano un posto nella storia, sono poche: a parte qualcuna, nessuno ha avuto un posto di rilievo”. Classico pregiudizio di chi, evidentemente, non conosce la storia. Facciamo una rapida carrellata solo dei nomi più famosi legati al mondo politico, della scienza, della letteratura, dell’arte. Iniziando dalle donne ancora viventi, basta citare Hilary Clinton, Michelle Obama, Angela Merkel, Julia Timosenko. Tutte donne che hanno un ruolo politico di primo piano. A questo tipo di attività è legato un pregiudizio, ma stavolta proviene dalle donne stesse: “Se ci fossero più donne al potere, si starebbe meglio”. La domanda, sorge spontanea: perché? Le donne al potere non hanno forse dimostrato di essere uguali, nella gestione di uno Stato o di un Regno, agli uomini? Basta andare a ritroso storia: Margaret Thatcher, Eleanor Roosvelt, Cleopatra, Isabella di Castiglia, Elisabetta I d’Inghilterra, Indira Gandhi, Maria Teresa D’Asburgo, Benazir Bhutto, Caterina La Grande, la Regina Vittoria, Rosa Luxemburg, Golda Meir, sempre per citare le più famose. Queste donne hanno fatto politica e hanno governato Paesi. Erano forse “più materne” dei loro colleghi uomini? Governare uno Stato o un Paese, non è questione di sesso.
Rapida carrellata dei nomi più famosi nel campo delle scienze e dell’arte: Saffo, la poetessa forse più famosa dell’antichità, Ipazia di Alessandria, astronoma e filosofa: uccisa dai cristiani è considerata una martire pagana. Per non parlare di Ada Lovelace, che inventò il primo programma informatico della storia. Al suo lavoro si ispirò Alan Turing, costruttore del primo personal computer. Restando in campo scientifico, troviamo Marie Curie, premio Nobel per la fisica, la chimica e gli studi sulla radioattività. Rita Levi Montalcini, forse la scienziata italiana più famosa all’estero, anche lei insignita del Nobel per la medicina. In campo letterario, troviamo i nomi Emily Dickinson, Virginia Woolf, Simone de Beavoir, George Sand, Anna Frank, sempre per citare i nomi più famosi e che hanno lasciato un segno indelebile nella storia. E oggi, a che punto stiamo? In Italia che aria tira? I pregiudizi ancora si sprecano: società maschilista? Forse. Le donne sono retribuite in linea di massima meno rispetto ai colleghi uomini? Probabile. Se, ancora, nel nostro Paese, c’è bisogno addirittura della pubblicità progresso per i “diritti della donna”, come se la donna fosse una minoranza da proteggere, vorrà pur dire qualcosa. C’è bisogno della quota rosa per permettere alle donne di far politica. Un po’ imbarazzante, se consideriamo che siamo nel 2014. In Italia, basta nominare due o tre donne in più in un governo per gridare al miracolo e per parlare di rivoluzione. No: la vera rivoluzione è che non si parli più di “uomo” o di “donna” come entità separate. Rivoluzionario, sarebbe affidare un determinato posto di lavoro per un solo motivo: la competenza professionale. Che sia uomo o donna, poco importa. Ma in Italia, evidentemente, c’è ancora molta strada fare.