Parenting: termine che indica un insieme di comportamenti specifici, che influenzano lo sviluppo fisico, intellettuale ed emotivo dei figli; esso si declina lungo due dimensioni principali: il controllo e il supporto.
Attraverso il controllo si cerca di indirizzare la condotta del bambino verso una direttrice desiderabile per il genitore e, nel suo aspetto positivo, fa riferimento ai ruoli, alle regole utili all’inserimento sociale del bambino; l’aspetto rischioso ha a che fare con il controllo di tipo psicologico, attraverso il quale i genitori cercano di intervenire ed imporsi nello sviluppo psicologico ed emotivo del bambino, facendo uso di pratiche educative basate sull’induzione di colpa, vergogna e riduzione dell’affetto genitoriale, nel caso che i comportamenti del bambino non corrispondano alle aspettative dei genitori.
Il supporto, invece, induce nel bambino la sensazione di sentirsi a proprio agio nell’interazione con i genitori e promuove la rappresentazione interna di essere accettato; attraverso il supporto i genitori incoraggiano intenzionalmente l’individualità, l’autoregolazione e l’ assertività, grazie a condotte caratterizzate dalla sintonizzazione con i desideri e le potenzialità del bambino.
Lo stile di parenting trova massima espressione nella sfera dell’educazione scolastica e un’interessante spunto di riflessione su questo argomento ce lo offre la scrittrice Natalia Ginzburg nel suo libro “Le piccole virtù” , nel quale esprime il suo punto di vista sulle preoccupazioni dei genitori, sull’ansia che li spinge a volere costantemente il successo dei figli, a non accontentarsi dei piccoli passi compiuti, causando così sempre di più l’allontanamento dagli stessi. E questo per soddisfare la loro ‘piccola virtù ’ di successo. Non basta che non restino troppo indietro agli altri, che non si facciano bocciare agli esami. Noi non ci accontentiamo di questo; vogliamo, da loro, il successo, vogliamo che diano delle soddisfazioni al nostro orgoglio.
Se vanno male a scuola, o semplicemente non così bene come noi pretendiamo, subito innalziamo fra loro e noi il muro del malcontento, un tono di voce imbronciato e lamentoso. Oppure li assecondiamo nelle loro proteste contro i maestri che non li hanno capiti, ci atteggiamo, insieme con loro, a vittime d’una ingiustizia. E ci sediamo accanto a loro quando fanno i compiti, studiamo con loro le lezioni, dimenticando che la scuola dovrebbe essere per loro, la prima battaglia da affrontare da soli, senza di noi. E se là subiscono ingiustizie o sono incompresi, è necessario lasciargli capire che non c’è nulla di strano, perché nella vita dobbiamo aspettarci d’esser continuamente incompresi e vittime d’ingiustizia, ma che la sola cosa che importa è non commettere ingiustizia a nostra volta. I successi o insuccessi dei nostri figli, li condividiamo con loro perché gli vogliamo bene, allo stesso modo di come essi condividono, a mano a mano che diventano grandi, i nostri successi o insuccessi, le nostre contentezze o preoccupazioni. Il loro dovere di fronte a noi, dal momento che li avviamo agli studi è quello di andare avanti, di dare il meglio di sé, del loro ingegno, del loro essere. Non dobbiamo lasciarci prendere, noi, i genitori, dal panico dell’insuccesso. I nostri rimproveri anche se rabbiosi, vanno subito dimenticati, in modo da non oscurare il rapporto coi nostri figli. Noi ci siamo per consolarli, se un insuccesso li ha addolorati; ci siamo per incoraggiarli, se un insuccesso li ha mortificati, ci siamo anche per fargli abbassare la cresta, se un successo li ha insuperbiti; dobbiamo donare loro gli strumenti, di cui potranno giovarsi domani. Quello che deve starci a cuore, nell’educazione, è che nei nostri figli non venga mai meno l’amore per la vita, mentre sono intenti a preparare se stessi alla propria vocazione.